Della musica degli Scale the Summit, band texana di metal strumentale, tutto si può dire tranne che non sia piuttosto personale, infatti si tratta sì di post-metal, ossia di una sorta di rivisitazione in chiave metal delle esperienze post-rock più "caruccie" (non è che ne vada proprio matto) e quindi quelle di Explosions in the Sky, God is an Astronaut e magari Sigur Rós, tuttavia il termine post-metal potrebbe risultare fuorviante perché qui i chitarroni sludge non si vedono manco in lontananza e al loro posto si trova una buona dose di tecnica, nei limiti del sopportabile si intende, e riff dal sapore progressive metal. Insomma scordatevi gli Isis, la musica degli Scale the Summit è più affine ad un post-rock classico con inserti metal.
The Migration, la quarta fatica discografica per il quartetto, riprende esattamente gli stessi materiali del precedente The Collective, tra i due non c'è nessuna evoluzione sostanziale, tuttavia si può parlare, nel bene o nel male, di un maturamento della proposta che si rispecchia, a mio parere, specialmente nel tentativo della band di sganciarsi dalla struttura "a blocchi" (ossia giustapponendo un riff all'altro e inserendo sopra ai riff i soli di chitarra) che spesso caratterizzava le canzoni del precedente album e che, pur facilitandone di molto la composizione, le rendeva a volte piuttosto pesanti e monotone. In ogni caso, se vi è capitato di ascoltare il precedente, non dovrebbe sorprendervi il contenuto di questo lavoro, che presenta tratti di post-rock quasi puro e momenti più energici dove non di rado Chris Letchford, uno dei più brillanti virtuosi nel panorama metal odierno, sfoggia una tecnica chitarristica di prim'ordine, che però quasi mai sfocia nel mero esercizio e viene generalmente tenuta al servizio della musica. Una nota di merito va anche al bassista Mark Michell (sostituto di Jordan Eberhardt, presente nei precedenti capitoli della discografia) che generalmente riescie ad intrecciare delle linee di basso di grande valore (e che risaltano bene anche grazie al missaggio a cui va, a mio parere, un'altra nota di merito).
Detto ciò, se si assume che The Migration e The Collective potrebbero tranquillamente costituire un'opera unica da un'ora e mezza e non ci si mette quindi a cercare sperimentazione o originalità in una musica che di fatto non punta a questo ma è intesa (dagli stessi Scale the Summit) come un "viaggio musicale" e che perciò non necessità in realtà di troppe analisi (in pratica: non fate quello che ho fatto nel precedente paragrafo), ciò che rimane è un onesto album di post rock mascherato da metal, e sta alla sensibilità di ognuno stabilirne il valore, un po' come accade con gran parte del post-rock. Personalmente lo uso per dormire dopo i pranzi domenicali o nei lunghi viaggi in macchina e trovo che ci siano degli alti e bassi compositivi al suo interno, tuttavia rimane un album suonato egregiamente e con degli ottimi punti di forza quindi lo consiglio a chiunque sia in cerca di un album leggero ma non banale, aspettando i nuovi passi dei texani che si sono (purtroppo solamente) confermati in qualità e dai quali mi aspetto, o almeno spero, uscite interessanti in futuro.
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