Nel cuore della gloriosa sede del Politecnico di Milano che nobilita Piazza Leonardo c'è una piazzetta con un cubotto di cemento, la pizzaccia in vendita dietro la targa; è il luogo dove noi studenti ci sorbiamo come lucertole i primi soli primaverili, la pancia piena (?) di pasti mai sufficienti a sfamare i nostri affamati corpi.

Sotto questa piazzetta c'è una grande aula studio, raggiungibile con una rampa sanpietrinata. Delle vetrate abnormi lungo tutta la sua lunghezza permettono di spiarne l'interno e ne giustificano il nome: acquario. Freddo cane d'estate e caldo stomachevole d'inverno, l'acquario è un'istituzione dove le ore passano lente al mattino e sonnolente al pomeriggio; in fondo, però, tanti bei momenti ivi passati mi ricordano che esso è parte di quello che sto diventando.

Dentro l'acquario, 180 postazioni studio color verdino-vomito hanno raccolto e continuano a sopportate pianti, gioie, sospiri ed ansie; appunti sconclusionati e quaderni impeccabili; libri della McGraw-Hill senza colori e Citrini-Noseda rosso costinati come piovesse.

Su una di queste postazioni, il portatile collegato alla rete wireless dell'ateneo, durante una pausa (evento non rarissimo, invero), i miei amici cagnacci mi segnalarono un video.

Lo guardai e mi misi subito a ridere.

Ne porto ancora adesso le conseguenze.

Ssssh, silenzio in aula!

 

Da allora ascolto quella canzone n volte al giorno.

Da allora guardo questo video ogni volta che voglio ridere.

Da allora mi alleno allo specchio, la giacca elegante indossata, per imitare le smorfie dell'efebico cantante che, al momento attuale, è il mio avatar del liber vultuus (come gentilmente la mia adorata sorellina fa notare, dovrei farmi vedere da uno bravo).

Da allora, mi si è aperto un mondo.

"Zuppa romana", anno del Signore millenovecentottantatré, costituisce praticamente l'unico successo (almeno oltre confine) dei bavaresi Schrott Nach 8 (letteralmente, rottami dopo le 8); nonostante l'apparenza, le coreografie (ed i volti) da "Gambero rozzo" dei simpatici lanzichenecchi, il testo della culinaria canzone, molto ricercato, non sfigurerebbe sull'Artusi.

Non serve ch'io racconti a voi la perfezione di certe melodie, la pregevole ricercatezza di certe rime (come nel trittico da urlo spaghetti/gamberetti/sigaretti) e la superba costruzione ritmica, guidata dall'allegra grancassa percossa da uno spilungo che si immagina senza troppa fatica anche con un boccale in mano nel padiglione dell'HB un pomeriggio di fine settembre.

Non serve che ponga l'accento sull'entusiasmante interpretazione di Gessler, Blass, Henkel e compagnia briscola: il pathos che traspare dai visi e dalle teutoniche vocalità tese a raccontare versi di inafferrabile bellezza poetica ("gorgonzola, coca cola?" riesce come per incanto ad essere assorbito dall'ascoltatore che, inebetito ed estasiato, non può che sospirare davanti a cotanta grazia.

Non serve nemmeno parlare di cosa precedette (la per me deludente "Carbonara" dei conterranei Spliff) e di cosa seguì quel momento magico (la versione casereccia "Pasta e fagioli" di Lino Toffolo ed il rifacimento discotecaro sul bravo Luca Toni); quel momento brilla di luce propria, luminoso come il sole che riflette i suoi raggi sulle nevi dei monti bavaresi.

Qualcuno dirà che è una lurida presa per il culo; altri potrebbero dire che è solo una furba operazione volta ad ingrossare il portafoglio dei gioiosi cantori in oggetto; altri ancora diranno semplicemente che trattasi di merda.

Per me non è altro che un capolavoro d'ironia.

 

Preeego.

 

Un momento di puro divertimento quando si è tristi, quando si lavano i piatti la sera o quando la sequenza Caiazzo/Loreto/Piola comincia a rompere un po' i coglioni.

Un momento come un altro per una fugace, effimera e necessaria seppur momentanea evasione dal verdino vomito dell'acquario.

Un momento che ci ricorda che, a volte, nella vita serve ridere.

 

Dedicato ai miei superamici, con affetto.

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