La parabola evolutiva stilistico-musicale che ha delineato il lavoro dell'ex batterista dei Napalm Death Mick Harris si conclude con questo capitolo. Ciò si può dire sulla base di due constatazioni:
- se si considera il punto di partenza musicalmente inteso, caratterizzato dalla versione estrema del metal e del punk-core, che prese corpo nel "grind-core" (ritmiche ipercinetiche, sincopate e compresse, cantato gutturale, chitarre ultra-distorte) la dilatazione dei tempi e la rarefazione delle atmosfere qui raggiunti, unite alla raffinatezza raggiunta a livello di suoni costituiscono un punto di non-ritorno oltre il quale c'è, forse solo il silenzio (o un concetto molto simile a quello di "ambient isolazionista" alla base del parallelo progetto Lull dell'instancabile Harris, o all'idea del "drumless space" dei Main).
- perché sotto il profilo qualitativo questo (mini?)-album è un vertice insuperabile: un capolavoro di perfezione sonica e ritmica assai rare e un'opera di portata innovativa strepitosa. Parallelo all'avventura dell'ex compagno Justin Broadrick, guitar-leader dei Napalm Death e autore con i suoi Godflesh di pietre miliari come "Streetcleaner", o capolavori industrial-grind come "Slavestate" o techno-metal come "Pure", Harris (coadiuvato in questo progetto da Nicholas Bullen) dimostra nuovamente come dalle esperienze "estremistiche" si possa trarre linfa e ispirazione per qualcosa di inusitato e innovativo: Scorn è l'espressione di un talento geniale che tocca ogni aspetto della musica contemporanea a 360° (così fu per il "dopo" Sex Pistols, esperienza di reazione e rottura con il passato, per il progetto straordinariamente innovativo e precursore Public Image Ltd di John Lydon).
Dei tre capitoli dell'opera degli Scorn questo rappresenta certamente il punto di massima e più compiuta sintesi tra elettronica (per la verità nettamente prevalente) e sonorità "metal" (sempre più "in lontananza"). Se "Vae Solis" aveva colpito per il suo carattere eclettico di opera granitica che alternava la potenza di episodi techno-grind estremamente duri ("Hit", "Spasm"), denso industrial- metal con una componente elettronica psichedelica ("Heavy Blood", "On Ice") o quasi ambient ("Thoughts of Escape") statici e sospesi, "Colossus" aveva segnato in modo deciso la svolta in senso "heavy dub": drumming pesantissimo, atmosfere maggiormente elettroniche, cupe e claustrofobiche, basso distorto e "stravolto", similmente al citato "Metal Box" dei Public Image Ltd: il tutto con maggiore omogeneità stilistica. La parentesi con il mini-cd "Deliverance" aveva chiaramente indicato la nuova frontiera del progetto-Scorn, nel senso della sintesi tra elettronica psichedelica, ambient-dub e industrial d'avanguardia. Questo "Evanescence" ne è la prova. Se un episodio come "Night Tide", con assolo pianistico, ritmica ossessiva e reiterata, voce sfuggente riesce ad abbinare loops electro di qualità eccelsa a percussività vagamente industrial, "Light Trap" costruita su un groove funk e tuttavia avvolta in un'atmosfera elettronica inquietante, contornata da rumori industriali e pervasa ad voci eteree dal cyberspazio alla Clock DVA, gli episodi da cui più traspare lo schema compositivo di base degli Scorn sono "Dreamspace", gioiello di arte cinematica nelle ritmiche, inflessioni dub e senso di spazialità, e "Automata", in cui loops maggiormente eterei vengono giustapposti a percussioni techno martellanti che fanno ricordare il primo "Vae Solis", il pezzo è straordinario per le continue interruzioni della ritmica a struttura circolare per dar spazio a parentesi melodiche notturne e inquietanti: quasi una "suite" ipnotica per pianoforte e drum-machine, al confine tra classica ed elettronica.
Puro ambient totalmente privo di percussioni, fatto di drones e sinfonie quasi "solari" lasciate fluttuare liberamente per circa tre minuti in "Slumber", mentre "Exodus" offre un campionamento di ritmiche tribali quasi "etniche" su cui si sovrappone un tappeto ritmico di impronta quasi techno-pop, sonorità tra post-wave ed ebm molto rallentata, cantato con frasi di senso compiuto, non più frammenti vocali orbitanti attorno a Mercurio e Plutone: praticamente il brano più accessibile dell'album. "The End", analogamente al precedente colpisce molto per il virtuosismo ritmico, mentre "Silver Rain Fell" sembra un inquietante pastiche Suicide-Portishead in chiave post-industriale.
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