"Sei nero... ciò significa che sei stato troppo vicino al sole. Il nero è male. Sei bianco... sei stato troppo lontano dal sole. Non hai colore... nessuna anima".
In realtà, questo passaggio da "Il Popolo del Blues - Sociologia degli Afroamericani Attraverso il Jazz" di Amiri Baraka, nel contesto del libro, ha un significato sociologico di gran lunga più importante; ma risulterebbero le parole giuste con le quali delineare un profilo di Scott Finch: Scott è stato lontano dal sole, perchè è bianco, perchè è pure biondo; ma la sua anima è stata esposta al sole, che ha regalato lui dei colori dal groove acido di hendrixiana memoria. Ricordo ancora il giorno in cui mi ritrovai nella saccoccia "Live Groove!". Non è stato un acquisto anonimo, ed è per questo motivo che lo ricordo particolarmente: il propietario di un negozio di dischi di Bari mi consigliò un chitarrista americano, di cui non avevo mai sentito prima nè il nome, nè ovviamente la musica. Questo era esattamente quello di cui andavo alla ricerca, di gente a me sconosciuta, scovarla ai confini di ogni cosa, con la speranza che la ricerca mi portasse a fare una scoperta personale della quale andare orgoglioso.
Quando si ha a che fare con gente che vende dischi, la quale capisce al volo dove vuoi andare a parare, è molto gratificante. D'altro canto è frustrante avere a che fare con dei commessi e/o propietari i quali, dopo aver chiesto loro qualcosa di sfizioso, ti guardano come se gli stessi parlando in arabo stretto. Questo invece era calato perfettamente nel piccolo ruolo che si era creato a mo' di vezzo, cioè una sorta di locandiere della buona musica sempre pronto ad accogliere nella sua prestigiosa locanda bande di avventurieri, a caccia del fatidico confine musicale. Era veramente un personaggio molto appassionato, sinceramente coinvolto da quello che faceva, desideroso di ascoltare il cliente e condurlo verso una strada sicura. Gli parlai religiosamente direi, del mio periodo, mentre lui restava ad ascoltarmi annuendo compiaciuto: era il periodo del sottobosco Rock Blues, alla ricerca di un ammaliante elettrico lato oscuro della Musica del Diavolo nato sotto il segno di Hendrix. Alla ricerca di musica armata di passione e suonata nei piccoli festival, nei bar, senza uno straccio di successo commericale che ne seguisse le sorti.
Mi esaltavo con Omar e i suoi Howlers. Era un perido effervescente, molto. Sicuramente. Alla ricerca di autori demodè, dall'aspetto che doveva somigliare necessariamente a quello che la mia fantasia mi aveva suggerito di Mississippi Gene, una delle anime vagabonde incontrate da Kerouac in On the Road. Una musica sviscerata nel profondo, passata al setaccio da cima a fondo, in lungo e in largo, sentita mille volte; e propio grazie a questi elementi, e se si vuole anche con un un pizzico di retorica, vuole mostrarsi la compagna fedele dalla quale non pretendere nulla, dalla quale non ti aspetti stravolgimenti significativi, propio perchè sei tu il primo a non volerli, in questi casi.
Questa vita condotta onestamente, con passione e con un basso profilo, è fotografata in maniera ineccepibile dalle parole di Paolo Carù, guru e storica penna della rivista "Buscadero". Con un intenso e stagionato odore di un tempo, Carù racconta di quella volta in un bar di Tucson in cui sentì per la prima volta Johnny & the Torpedos. Con questo aneddoto riesce a focalizzare una circostanza da affiancare sia allo stile di vita e musicale di Scott, sia al movimento oscuro e sotterraneo del Rock Blues e della musica undeground in generale. Scott Finch è un chitarrista sincero. Nessun volo pindarico musicale riesce a fare capolino nella sua Strato bianca, propio perchè non è nelle sue corde. Il biondo chitarrista di Milwaukee comincia discograficamente la sua carriera da professionista nel lontano 1969 (!), con un singolo passato non alla storia, evidentemente. La sua avventuara porterà Scott a dare vita ad una serie di gruppi passati pressochè inosservati, e con i quali registrerà qualche manciata di dischi. Ma il nostro arriverà fino ai nostri giorni con il suo bel power trio e con il Verbo di Hendrix sempre e costantemente (e volutamente) in agguato; tutti pronti a regalare questo live incendiario e straripante: in realtà non si tratta di un live registrato in un'unica serata, ma invece ci si trova al cospetto di tre serate che andranno a formare questo doppio "Live Groove!", custodito in una lucida e deliziosa confezione cartonata.
Il primo disco vede Scott e la sua banda al Linneman's Riverwest Pub della sua Milwaukee nell'Aprile del 2001; mentre il secondo è diviso tra un live al Mustang Shelly's Roudhouse sempre da qualche parte nel Wisconsin, e alcune tracce registrate in occasione della sua esibizione al nostro Torrita Blues Festival di Torrita, in provincia di Siena, nel Giugno sempre del 2001. Il calore del Popolo del Blues di Torrita evidentemente deve aver fatto presa sul buon Scott, capace di marchiare a fuoco quella serata di Giugno con un suo notevole brano, ovvero "Pie In the Sky"; un brano dalle rifiniture hendrixiane e molto coinvolgente, dal funky mood. La serata lo vedrà protagonista anche di una tiratissima "Jeff's Boogie" di Jeff Beck. Della partita toscana anche una "Voodoo Child" straripante, a conclusione di una ispirata e sentita serata italiana.
Tornando un po' alle serate in America, Scott sciorina molti dei classici americani legati al Blues e al suo circondario, alternandoli con delle sue composizione veramente di pregevole fattura: "Fire", "All Along the Watchtower" (nella versione di Hendrix ovviamente), "The Wind Cries Mary" e "Spanish Castele Magic" danno vita ad un interessantissimo poker hendrixiano con il quale Finch chiuderà la partita nel primo disco. Finch non si accontenta, e mettendoci molto del suo, riesce a tirare dal suo cilindro delle rivisitazioni molto affascinanti: "Southbond" della Allman Brothers Band che cattura ancora quelle sfumature tipicamente funky molto care a Finch; oppure i classici dei classici della musica diavolo, e cioè "Stormy Monday" di T-Bone Walker fino "Louisiana Blues" e "Hoochie Coochie Man" di Muddy Waters oltre a "Spoonful" di Willie Dixon. Del resto Finch continuerà a dare spettacolo con due coinvolgenti versioni di "Down by the River" di Neil Young e "The House of the Rising Sun", che non ha bisogno di presentazioni.
Finch regalerà ancora musica di qualità, che travalica il tempo e ogni tempo, un tempo che scandirà la musica nel recinto di Scott Finch, clamoroso nel suo non essere clamoroso. Oltre Carù, chiudono le note di copertina anche Mauro Zambellini e Giorgio Mangora, che lasciano una competente scia d'altri tempi la quale odora un po' anche di casa nostra.
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