Non ho mai tenuto nascosta la mia avversione ai dischi di "puro" Blues post anni settanta e non ho mai fatto nulla per nascondere questa mia antipatia. Ho sempre avuto la sensazione che dopo il trattamento ricevuto negli "early seventies" da gente come Jimi Hendrix, Jeff Beck e Alvin Lee (pazzo chitarrista dei Ten Years Afters) la musica originaria degli schiavi neri afroamericani avesse passato il "punto di non ritorno": la violenta fusione col Rock imposta al Blues dai tre musicisti sopraccitati ha impresso in me l'idea che proprio il Rock avesse assunto il carattere prevalente del nuovo corso e che il Blues sarebbe stato, da lì in poi, un cromosoma non più dominante nella successiva evoluzione della specie, in altre parole uno stile ridotto ad un'atmosfera di espressione più che una filosofia musicale di fondo.
D'altro canto sono però profondamente innamorato di Scott Henderson, geniale chitarrista Fusion e Jazz-Rock, leader dei Tribal Tech (gruppo fondato nel 1984 con l'immenso Gary Willis al basso) e "sideman" di fiducia per influenti jazzisti quali Joe Zawinul (ricordate i Weather Report?), Chick Corea e Jean Luc Ponty, per citarne alcuni, oltre che solista di indiscussa creatività e talento.
Sono stato a lungo dibattuto sull'opportunità di acquistare il suo ultimo lavoro, datato 2002. Conoscevo bene il suo primo disco da solista, "Dog Party" (1994), disco celebrato da "Guitar Player" (la bibbia internazionale di noi chitarristi) come miglior disco Blues dell'anno e non faccio fatica a confessarvi che non mi piacque per nulla. Ho quindi visitato il suo sito web per maggiori informazioni ed ho trovato Scott affermare che: «It's not really a Blues album, even though for sure it's 'bluesy'».
Credendo applicata appieno la mia teoria darwiniana sul Blues e fidandomi delle parole di Scott (e di un ascolto preliminare...) ho allora consolidato l'idea di procurarmelo. Dopo vari ascolti posso dire di non esserne rimasto deluso ma nemmeno completamente affascinato.
"Well to the Bone" è un disco che si attesta lontano dalla ricerca di ardite soluzioni. Al contrario è un lavoro di buona fattura che, sospeso tra più epoche musicali, tenta il difficile raccordo tra originalità e tradizione e tra la necessaria presenza di novità con la riproposizione di ambientazioni per forza di cose "gia ascoltate".
Il trio composto da Scott, John Humphrey al basso e Kirk Covington alla batteria genera un interessante equilibrio di ritmo e melodia. La tensione dello schema classico del Blues (ritmo shuffle e scale pentatoniche) non è abusata ma nemmeno stravolta, piuttosto ordinatamente ricomposta in nuovi schemi. Considero il punto di forza dell'album proprio il fatto di non eccedere per nulla nello shuffle (in realtà quasi assente) come tempo base e di non ricorrere sempre e solo all'alterazione del terzo e settimo grado della scala diatonica per ottenere il canonico effetto "blue note".
Il trio tenta di adeguarsi alla modernità dei nostri tempi con impercettibili ma continue modifiche, ripetute in successione, che pur non stravolgendo le dodici battute Blues rimettono in discussione l'intera architettura della canzone. Reputo come momenti migliori del disco "Devil Boy", che è cantata da Wade Durham e che sembra estratta direttamente da "Electric Ladyland" di Hendrix, "Dat's Da Way It Go", stesso cantante ma spassosissimo contesto funky e "That Hurts", il passaggio più devoto agli anni cinquanta dell'intero disco.
Certo, è un disco di cui si può anche fare a meno, come dire di no, ma non sono pentito dell'acquisto. Henderson suona come al solito divinamente, sempre pulito e funzionale alla canzoni e mai troppo invadente nei confronti degli altri due strumentisti, come il suo ruolo di titolare del progetto e autore delle canzoni potrebbe permettergli. Il suono d'insieme è ben studiato e la produzione non è male.
Ma c'è qualcosa comunque che non mi soddisfa appieno. Sarà per i miei pregiudizi sul Blues contemporaneo che vi ho sopra illustrato. Sarà perché Scott raggiunge secondo me la sua massima espressività in un ambito più Jazz.
Non lo so con esattezza ma quello che con certezza posso affermare è che sicuramente non è un disco completamente privo di idee e qualità. Ho un dubbio: che forse sia io a non esserne all'altezza?
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