Lavori del genere, oltre ad essere originali, danno l'idea di quanti artisti semi-ignoti esistano su questo pianeta. Viene naturale chiedersi, però, se trovate del genere servano esclusivamente a riempire le tasche del musicista in questione, oppure se siano sinceramente dovute ad un atto di "devozione" nei confronti della leggendaria band di Harris & Dickinson. Niente di strano se suona "commerciale", tutto sommato ognuno deve mangiare, e questo trovo che sia un modo più che degno di procurarsi da vivere. Sto solo cercando, in realtà, di non farmi abbagliare da un'idea assolutamente inedita (usare il pianoforte per eseguire i classici dei Maiden), che non porta in sè moltissimo di nuovo. Insomma, certe trovate erano "proprietà" degli Apocalyptica, ed il risultato era (ed è) decisamente superiore.
I brani inseriti nel CD sono 11 cover dei brani più celebri degli Iron Maiden. La scelta è quantomeno adeguata, in quanto copre un arco temporale che va da "Aces high" fino a "Brave new world". Si posso individuare due sottogruppi: quelli in cui l'estro del pianista viene fuori in tutto il proprio splendore, e tutti gli altri, che appaiono addirittura leziosi. Nel primo caso, annovero certamente "Number of the beast", in cui l'intro è stata rallentata per un paio di giri, per poi scatenarsi nel consueto e sfrenato fiume di note. Senza dimenticare di citare "Brave new world", particolarmente adatta al tipo di arrangiamento, "Run to the hills" - che sembra veramente uscire da un repertorio di musica classica, ma non è certo merito di Lavender - e la splendida "Hallowed be thy name", veramente da brivido.
Ma l'ascolto finisce qui: probabilmente dipenderà dai gusti personali, ma di altro c'è ben poco. Qualche guizzo sparso, senza che uno riesca a ricordare dove diavolo ha sentito quel passaggio che non era poi così male. Troppo poco personale, mentre l'unico brano inedito è addirittura "masturbatorio" in alcuni passaggi. Questo disco, tuttavia, potrebbe essere l'ideale congiunzione tra il rock'n roll anni '50 e le varie evoluzioni del metal "classico", capace di piacere anche a chi di New Wave Of British Heavy Metal non vuole nemmeno sentirne parlare. Rendo l'idea in sintesi: immaginate come improvviserebbe Jerry Lee Lewis sullo spartito di "Number of the beast" (anche se sembra una cosa da pazzi!). Potrebbe essere gradevole da vedere dal vivo, ma si tratta "solo" di un buon esercizio di stile, certo non banale nella concezione e sviluppo. Un classico CD che, forse, neanche troppo tempo fai avrei sopravvalutato.
Carico i commenti... con calma