Coloro ai quali era piaciuto TILT, il precedente disco di Scott Walker risalente addirittura al 1995, non potranno farsi sfuggire questa nuova avventura sonora del geniale musicista americano. Portando alle estreme conseguenze la dissoluzione della forma-canzone, Walker confeziona un complesso viaggio solo andata verso un nulla raggelante che rimanda in qualche modo ai Lieder schubertiani del ciclo “Viaggio d’ inverno”, aggiornandoli.

I dieci pezzi che compongono il quadro di “The Drift” sono immersi in un’atmosfera desolante e senza speranza, musicalmente resa dall’alternarsi di pieni e vuoti (scoppi orchestrali e profondi silenzi) e dall’utilizzo di soluzioni sonore sorprendenti: dalla “big box” di legno percossa con un pezzo di cemento in “Cue” allo shawn di “Clara”, dal suono di passi che discendono una scala in “Jolson and Jones” al magma vertiginoso dell’orchestra che accompagna la voce baritonale di Scott, da questa stessa voce che declama nel vuoto spaziale di “Jesse” la disperazione dell’uomo solo: “I’ m the only one left alive” . Per non parlare dell’agghiacciante, diabolico, inatteso Paperino che urla sul finale di “The Escape” come un mostruoso fantasma infantile. I testi colpiscono per la modernità di scrittura e per la complessità e varietà di temi toccati: si va dalla storia d’amore fra Claretta Petacci e il Duce (“Clara”), all’ AIDS (“Cue”), alla Bosnia (“Buzzers”) alle complesse analogie sull’11 settembre (“Jesse”), alla guerra, a Bush etc. Il viaggio allucinante si chiude a sorpresa con una vera e propria canzone: percorsa da un inquietante “pst-pst” eseguito con la voce, vestita solo di una chitarra acustica, “A lover loves” è l’assolo finale che il sacerdote Walker concede al suo pubblico un attimo prima che il sipario si chiuda (per sempre) su di lui.

Carico i commenti...  con calma