Immaginatevi un ex ragazzo prodigio che improvvisamente da giù di testa come pochi altri hanno fatto, butta al macero una carriera da novello Jacques Brel, adorato dalle donne, e passa un sacco di anni nei pub a bere e guardare la gente che gioca a freccette.
Bene, questa è la vita che Scott Walker ha trascinato per molto tempo, prima di uscire di nuovo allo scoperto con un disco totalmente al di fuori di ogni logica di mercato.
Walker firma con Tilt un'opera a dir poco straniante e mostruosa, dove le ossessioni di un ex alcoolizzato si stendono su un tappeto di elettronica o note appena accennate.
Tutto è un rimestare nel torbido di passioni relegate nel profondo delle budella; come se dopo anni di bevute anarchiche e divertite con gli amici vi scopriste privi degli enzimi che bruciano l'alcool... in preda a visioni diurne che mimano la funzione dei sogni.
Tutto questo è Tilt: un album che potrebbe sembrare il parto di un David Sylvian che, finalmente, ha imparato a cagare fuori dal vasetto; un'orgia di sentimenti negativi che prende tutte le Elizabeth Vajagic e i Nick Cave, suo fan dichiarato, scacciandoli a casa a bere latte e menta.
Scott Walker è un genio nascosto, vittima della sua stessa misantropia e dei suoi umori balzani.
Ha scritto canzoni d'amore geniali e poi è sprofondato in un minimalismo angosciante e sordo, ma molto consigliato a chi vuol trovare una voce che dica: "ehi, non sei l'unico che sta male..." un pò la solita vecchia solfa.....
La copertina del disco rivela quello che vi attende all'ascolto: mani e occhi prigionieri del nero inchiostro della vita; come un dipinto di Pollock dove l'urgenza è talmente elevata che non si può star lì a calcolare le mosse e i gesti.
Vi consiglio, se ancora non lo conoscete, di divorarvi questo disco che è un degno compare di fallimenti e rimpianti.....per chi ce li ha s'intende.
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