Fa un po' di tristezza adesso leggere sulle riedizioni in CD degli album degli Screaming Trees l'adesivo "featuring Mark Lanegan from Queens of the Stone Age". Con le dovute proporzioni, sembra un po' come trovare sulla copertina di Led Zeppelin III la scritta "Con John Paul Jones dei Them Crooked Vultures". È un peccato che gli Screaming Trees vengano generalmente così poco considerati, io stesso li ho conosciuti tempo addietro solo qui su DeBaser per puro caso, alla ricerca di qualche gruppo grunge oltre ai soliti nomi arcinoti.
All'inizio non mi avevano catturato, solo dopo un paio d'anni, riprendendo in mano il disco, mi sono accorto di avere a che fare con un prodotto di vera qualità, frutto di un gruppo che può configurarsi senza dubbio tra i migliori esemplari rock confusamente etichettati come grunge.
Etichetta, quella grunge, in cui gli Screaming Trees, essendosi formati già nel 1985, appaiono come uno dei primi esempi. Il gruppo dello stato di Washington esordirà nello stesso anno con l'EP "Other Worlds", che già mostra il loro stile particolare di fusione tra garage rock ed elementi di psichedelia. "Clairvoyance", del 1986, è il loro primo full-lenght.
Un disco grezzo e forse immaturo, ma molto meno banale di quanto possa sembrare. La componente strettamente rock del disco consiste in sferragliamenti tipicamente grunge, inteso come irruento hard rock con elementi punk e metal. Complice ne è la scarna produzione, che non disturba però la godibilità del disco.
Elemento essenziale del disco è poi la psichedelia, espressa attraverso le tastiere di "The Turning" e "You Tell Me All These Things", i cori allucinogeni in "Orange Airplane" e, soprattutto, nei sapienti innesti melodici operati da azzeccati riff ed ampi e gustosi assoli di chitarra e nella fenomenale voce di Mark Lanegan, che bene si equilibrano con l'irruenza punk di basso e batteria. Per quanto grezzo ed immaturo possa infatti essere "Clairvoyance", le componenti diverse si mischiano alla perfezione, donando grande spessore al disco. Buona è anche l'eterogeneità del tutto: la calma ed ubriaca "Standing on the Edge", il sapore quasi heavy metal britannico di "Forever", l'allegra "Seeing and Believin", l'esplosivo finale di "Lonely Girl".
Un disco che, con tutta la sua qualità oggettiva, il suo valore storico e la sua semplice bellezza si finisce per amare. Gli amanti del rock duro ma non ignorante non dovrebbero farsi sfuggire questa perla rara.
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