Lo ammetto: di Mark Lanegan musicista so ben poco. Conosco le sue partecipazioni in veste di ospite agli album dei Queens Of The Stone Age, e in effetti le sue sono tra le migliori canzoni mai incise da quella pur dotatissima band… Però, ad onor del vero, "Dust" è proprio il mio primo album-esperienza per quanto riguarda il Nostro e più in generale gli Screaming Trees. Per cui entrerò subito nel vivo dell'album che qui recensisco: "Dust" è davvero un piccolo gioiello, un prodigio hard rock accattivante e ben confezionato, con in più quel tocco "esistenziale" che Lanegan dona alle sue composizioni a far la differenza.

Accompagnato dai fratelli Van e Gary Lee Conner (rispettivamente basso e chitarra) e dal batterista Barrett Martin, la band di Seattle si lancia in un excursus hard-folk-psichedelico di rara potenza: ogni suono, ogni melodia e ogni battito sembra amalgamarsi alla perfezione alla voce calda e roca di Lanegan e ai suoi desolati racconti di solitudine e alienazione, dando vita a canzoni che invitano al sing along pur affrontando temi poco rassicuranti. è la fantasia a farla da padrone: il singolo è "All I Know", blues-rock potente e orecchiabilissimo velato di malinconia, mentre "Dying Days" fonde la loro anima più trascinante a una vena folk-country ruspante e solare. "Look At You" è pregna di romanticismo, ma cammina con gli occhi bassi, una ballata amara e intrisa di rimpianto. I ragazzi si lanciano persino in cavalcate rock-psichedeliche dal gusto quasi raga come in "Halo Of Ashes" (perfetta in apertura) e "Dime Western", mentre in "Traveler" si abbandonano a beatlesiane armonie di chitarra e synth, confenzionando una ballata surreale e colorata.

Il gruppo si muove con una naturalezza spaventosa, seminando citazioni, costruendo atmosfere variegate e avvolgenti, emozionando con ritornelli immediati e armoniosi: l'umore delle liriche, depresso e scorato, viene così redento dalla qualità e dalle vibrazioni sprigionate dalla musica, e in effetti "Dust" è ben poco imparentato con il gotha del grunge che proprio in quegli anni esalava i suoi ultimi respiri; non ha infatti nulla dell'introversione feroce e cancerogena dei Nirvana nè della lugubre drammaturgia degli Alice In Chains. Semmai il gruppo richiama Cream, Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Pink Floyd e Jethro Tull e Beatles senza mai lasciarsi andare a scopiazzature di bassa lega. E' qui il fascino di "Dust": i quattro di Seattle producono musica esistenziale redenta dalla sua stessa natura, sofferenza e catarsi si fondono e danno vita a questi inni in salsa hard vibranti e intrisi di emozione.

Mi sa proprio che è proprio il caso di andarsi a fare una bella listening session retrospettiva… intanto, vi consiglio un assaggio di questa "polvere". Va dritta al cervello, ma non vi uccide. Anzi, vi fa lievitare. E la vita diventa piano piano un pò più leggera.

Carico i commenti...  con calma