"Better keep on going
It's the only thing I know
Oh Lord, it won't change
It won't change
It won't change
It won't change..."
Nell'esatto istante in cui pronunciava questi versi, Mark Lanegan era qualcosa a metà fra Jim Morrison e Jeffrey Lee Pierce, disorientato tra la polvere di una sperduta terra di nessuno. Era la visionaria poesia della strada del primo e il Blues profondissimo e incandescente del secondo. Era rabbia e disperazione, depressione e sfogo. Era di fronte a un microfono, ma contemporaneamente seduto al volante di un'auto che sfreccia senza meta sull'autostrada di un deserto privo di punti cardinali, la città più vicina distante ancora centinaia e centinaia di miglia. Sorpreso dalla notte a versare lacrime mescolate a gocce di pioggia che cadono, la percezione del tempo ormai annullata dall'immagine della corsia che scorre, che scorre, che scorre... un giorno sembra durare un milione di anni, e l'unica cosa da fare è ANDARE anche sapendo che niente cambierà, e quel "non cambierà" si ripete ossessivo come una frase scavata nel silenzio di un lungo dialogo con sé stesso - prima che l'ossessione si trasformi in pianto, urlo lancinante a confondersi con la chitarra di Gary Lee Conner che esplode in lampi di astrale apocalittica elettricità.
E nell'esatto istante in cui graffiavano quelle note, gli alberi urlanti erano qualcosa di "altro", qualcosa che andava irrimediabilmente OLTRE l'acerba incertezza di "Clairvoyance" e l'eccellenza solo sfiorata, appena lasciata intendere di "Even If and Especially When". E Seattle non era più soltanto la città dei Supersonics né la patria del più grande chitarrista rock d'ognittempo, ma era anche la California dei Blue Cheer, il Mojave evocato (e vissuto) in suoni dai Thin White Rope, il Texas drogato e jug-elettrificato dei 13th Floor Elevators. Era tutto questo insieme, e forse altro ancora. "Grey Diamond Desert", capolavoro del qui presente album nel modesto parere del sottoscritto, ne è la sintesi più perfetta e potente. I semi del garage-punk più sanguigno e verace, gettati da chi - a Seattle vent'anni prima - dichiarava di preferire il gusto della stricnina pura all'acqua e al vino, hanno ormai prodotto creature imponenti se non abnormi, tenaci rampicanti come l'edera avvinghiata al muro di "Ivy" ("Ivy on the wall, I know the way that you creep and crawl"), al ritmo di un riff che entra e si stampa nella memoria sopra un basso straripante. Suoni indelebili al pari delle spaventose immagini evocate - l'ibrido antropomorfo di una ragazza/edera dai capelli neri sovrapporsi ai volti di cristallo affacciati al davanzale in "Lines & Circles", così come gli anelli di fumo che in "Smokerings" si disperdono nell'aria confondendosi tra le nebbia e gli ululati di cani che somigliano a bestie infernali (riflessi del Cerbero di "Hellhound On My Trail"...?). Livelli di scrittura superlativi, realtà e sogno che si incrociano senza poter comprendere così bene dove finisca l'una e abbia inizio l'altro.
Il delirio e l'ipnosi della psichedelia mescolati alla furia e all'irruenza che appartengono solo al punk: litri di acidissimo vomito elettrico, fendenti di chitarre che squarciano spietate, il wah-wah selvaggio di una "Shadow Song" irripetibile, la perfezione in due minuti (o poco più) di "She Knows" e "Walk Through To This Side". Non esistono momenti di debolezza: il sangue è incapace di rallentare, preda di quella tensione che è forse la stessa di Lanegan e dei Conner nei giorni delle registrazioni (continui gli attriti con il produttore/membro aggiunto Steve Fisk, ma se è vero che i capolavori scaturiscono dalla scintilla...). Ascoltare in cuffia questi 40/41 minuti è un'esperienza che sarei incapace di descrivere con altre parole, salvo far balenare davanti ai vostri occhi le metalliche cadenze della title-track (solitudine di una stanza chiusa a chiave, tanto è angosciante mentre Mark canta la disperazione di non poter fuggire gli incubi della propria mente); gli echi della "Carry On" di Ramblin' Jeffrey che appaiono così chiari in "The Second I Awake", il punk paranoico di "Direction Of The Sun", la chitarra e l'organo di "Even If". E l'assoluto Genio compositivo di "Night Comes Creeping": quando il tempo rallenta e la matrice Blues è svelata senza dubbi residui, allora con quell'Assolo si può davvero abbandonare la mente e la ragione al loro destino.
Se ho tralasciato qualche lettera, erano le mani che tremavano sulla tastiera.
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