Sento una bella canzone e gli chiedo chi è che canta. Con la solita faccia mi risponde col suo tono metallico standard, e dice rassegnato: "E' Mark Lanegan". Poi un lampo di vita, si ridesta dai suoi pensieri troppo alti e scollegati e mi comunica deciso: "Non credo tu lo conosca, era il cantante degli Screaming Trees". *

"Uncle Anesthesia", del 1991, è il primo album degli Screaming Trees pubblicato con una major, la Epic, e segue "Buzz Factory" (per il quale rimando alla bella recensione di Donjunio già presente su queste pagine). Album prodotto, oltre che dagli stessi Screaming Trees, da Chris Cornell, di cui sono anche i cori in tre tracce (l'eponima "Uncle Anesthesia", "Before We Arise" e "Alice Said").

Il disco è decisamente più rock che grunge e, forse proprio per merito della produzione, mostra una certa attitudine professionale, diciamo che si respira l'odore di studio di incisione, piuttosto che la polvere di un garage o il chiuso muffo di una cantina. In evidenza chitarra e batteria, il suono è denso, corposo, compatto e omogeneo, forte ma pulito, senza spigoli né sbavature. Il livello insomma è alto, e tale si mantiene per tutte le tredici tracce che lo compongono. Facendo un azzardato paragone enologico, è quasi un album "da taglio", o un bicchiere di Cirò.

Quando parlo di omogeneità, intendo sottolineare proprio l'alto contenuto di tutto il lavoro, che non presenta cadute o rilassamenti, e offre una certa linearità e continuità compositiva e di esecuzione, ma ciò non vuol dire che il disco sia piatto, noioso o monocorde. Anzi, vi si trovano pennellate psichedeliche, brani trascinanti e pezzi più compassati, atmosfere cupe e canzoni più solari e melodiche; e il tutto è egregiamente dominato dalla perfetta voce di Lanegan.

Paradossalmente, proprio il pregio del disco presenta poi il rovescio della medaglia, divenendo anche il suo principale difetto, e forse una delle ragioni per cui non ebbe il successo che meritava, oltre naturalmente all'oscuramento dovuto alla deflagrazione del coevo "Nevermind" dei Nirvana. Mi riferisco proprio all'uniformità dell'album: se infatti la cifra di tutti i pezzi è pregevole, manca però il colpo d'ala, quella o quel paio di canzoni che si innalzino sopra la pur elevata media delle altre, che abbiano quel tocco particolare che le distingue e te le incide nella memoria e che, forse, avrebbero decretato un maggior successo, anche commerciale, del disco e del gruppo (ho, comunque, le mie preferenze: la ballata "Bed of Roses", il rock tirato di "Story Of Her Fate", la cupa "Alice Said", il brano di chiusura "Closer").

Una notazione finale che aumenta il mio piacere per quest'album riguarda la spettacolare copertina: sarà il mio stato di freak degenerato, ma quel mostro che con una delle sue quattro mani saluta come un Vulcaniano mi strappa un sorriso ad ogni sguardo... lunga vita e prosperità.

Ora capisco, il mio aspetto ordinario gli trasmette ascolti deplorevoli. Ma io lo so chi è Mark Lanegan, arrogante bottegaio indegno della roba che vendi qui dentro, alternativo dei miei coglioni, che quando io ascoltavo i Dead Kennedys tu nemmeno ti facevi le pippe. Me ne vado, me ne vado e lo odio. *

* da "Tono Metallico Standard", traccia n. 5 di "Socialismo Tascabile - Prove Tecniche di Trasmissione", Offlaga Disco Pax, 2005.

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