Questi due pirloni texani vestiti a festa in copertina sono stati un duo pop/folk/gospel/country di successo (in USA, e solo lì) specialmente negli anni settanta. Dalle nostre parti non se li è filati nessuno, o quasi. Il fatto è che erano fatti apposta soprattutto per quella larga parte di America bigotta, casalinga disperata, ipocritamente credente che a noi europei fa (o dovrebbe fare, meglio correggersi) un effetto allucinante. Erano pure seguaci di non so quale setta religioso/filosofica mediorientale, menata questa che rende idiosincratico l’ascolto di buona parte dei loro testi, seraficamente buonisti.
Tuttavia colleziono lo stesso, e con puntiglio, i loro dischi perché erano… semplicemente bravi, molto musicali, affiatati, preparati. Ma bisogna discernere… nel loro repertorio c’è molta rumenta easy listening, un minestrone soft rock insipido buono per i poveri di spirito musicale. Poi però, una volta su cinque, ecco che tirano fuori una sciccheria, magari solo strumentale, di grandissima classe, sapienza e inventiva, capace di ripagare il tempo perso dietro a loro.
James Seals, quello a sinistra colla coppola, la barbetta e il bulbo da uccellino in fase di corteggiamento, suona prevalentemente la chitarra acustica. Dash Crofts, quello col pelo in eccesso ovunque e la maglietta minchiona alla Jovanotti, è (notevole) mandolinista. Cantano entrambi: la voce di Seals è… regolare, baritonale calda e consistente. Quella di Crofts è invece più alta ma chioccia, nasalissima, non il massimo… Infatti si prende raramente il proscenio, assumendo ben più di frequente il ruolo da corista.
Cito solo il più pregevole numero contenuto in quest’album del 1976, loro ottavo di carriera, ovvero “Passing Thing”, messa proprio alla fine. E’ un episodio… progressivo, veramente; un infinito duetto chitarra/mandolino che travalica le parti cantate per imporsi con continue variazioni, dal jazz al Sudamerica, di rara eleganza. Il mandolino sa essere uno strumento irresistibile, con una voce penetrante ed insieme dolce, molto sonora.
Per il resto… si può dire che è grosso modo come ascoltarsi un disco di Graham Nash, o del medesimo insieme all’amico David Crosby. E’ la stessa pappa californiana, tiepida ma di classe, con la solita crema dei turnisti di Los Angeles a disposizione (mezzo gruppo dei Toto, ad esempio) per creare un prodotto di massima professionalità. Ma ripeto, qui e altrove (hanno pubblicato una quindicina di album) vi sono sempre delle perle da estrarre qua e là.
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