"Se ammettiamo che l'essere umano possa essere governato dalla ragione ci precludiamo la possibilità di vivere".
Se per questo film avessi a disposizione uno spazio di soli 100 caratteri scriverei questa frase di Christopher, sentita all'incirca a metà proiezione. Perché in fondo questo è stato il credo della breve vita realmente vissuta in USA negli anni '90 da questo ragazzo nato nel West Virginia e tragicamente morto nel pieno della realizzazione del suo sogno.
Un sogno molto particolare, straordinario, quello di mollare tutto ciò che fa parte dell'avidità umana, della povertà interiore, per arricchirsi con la Natura quella vera, selvaggia, per viverla, per farne parte. Alla faccia del denaro e di tutte le bruttezze che questo genera.
Christopher è un ragazzo come tanti ma con una sensibilità molto accentuata, cresciuto in una famiglia dove gli è stato donato molto poco amore. Lui e la sorella, di poco più piccola, hanno subìto un menàge familiare freddo e cinico. Ha un'indole selvaggia e questa situazione domestica lo esaspera fino al punto di decidere, appena laureato, di lasciare in beneficenza tutto quello che il padre gli aveva messo sul conto in banca, di bruciare perfino i contanti che aveva in tasca e di fuggire via, girovagando, scommettendo sulla sue sole capacità, scappando dalla "civiltà".
Road movie tratto da una storia vera, questo film si distingue per una fotografia stupenda realizzata attingendo sapientemente da un serbatoio capiente qual'è quello dei grandi spazi nordamericani. Spettacolari scorci panoramici si alternano a momenti in cui il ragazzo frequenta sporadicamente il mondo degli "sciolti", di quelli a cui basta poco per vivere una vita semplice. Lui però è estremo, non gli basta di vivere in un camper, è un vero selvaggio con il desiderio ultimo di raggiungere l'Alaska e di realizzarsi completamente. Lo raggiunge lo stato dell'Alaska e vive a pieni polmoni into the wild, ma si scontrerà con situazioni più grandi di lui.
En passant il dramma di un padre che capisce ancora più della madre gli errori fatti; l'angoscia della sorella che comprende il fratello ribelle ma soffre, non riuscendo a spiegarsi perché lui non si faccia vivo nemmeno con lei.
Christopher incontra molte belle persone, semplici - perché al mondo ce ne sono - ma lui ha un carattere introverso, si trova bene con gli altri ma per non più di tanto; a una ragazza darà un insegnamento prima di ripartire per l'ennesima sfida, un insegnamento che dà anche a tutti noi: "ricordati sempre che se vuoi qualcosa nella vita... allunga la mano e prendila."
Alla fine però anche lui avrà da tutta questa esperienza una lezione: "la felicità è reale solo se condivisa". E l'unica cosa di cui si pentirà veramente sarà non tanto l'aver lasciato senza notizie i familiari, non tanto l'aver osato troppo dalle sue forze, ma l'aver goduto sì tutta la natura selvaggia, ma in solitudine.
Un film che insegna molto, ben sviluppato da Sean Penn che lo ha tratto dal libro "Nelle terre estreme" di Krakauer, il quale ha scritto sulla base di una personale ricostruzione. Penn ha fortemente voluto proporre in video questa storia ed ha insistito molto per convincere i familiari a concedergli la necessaria autorizzazione.
Pregevoli molte inquadrature, non banali, e buoni artisti. La colonna sonora è quella tipica dei road movie, che fa tanto film americano anni '60/70. Buon uso del flash-back. E tutto questo, insieme, arricchisce una storia altrimenti difficilmente attraente per la durata di un lungometraggio.
Che si può dire alla fine? Che nel mondo civilizzato la metà delle persone ha una corda legata alla caviglia e non può volare. L'altra metà ha l'altro capo di quella corda in mano. Ma evidentemente il mondo è formato da un numero dispari di persone perché Christopher era in più, l'unico nel mondo moderno occidentale ad essere stato veramente libero.
USA 2007
Christopher: Hemile Hirsch
Regia di Sean Penn
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