Un uomo perso. Perdita. Smarrimento totale della propria persona e della propria coscienza.
Con queste poche parole si può esprimere in estrema sintesi il senso di questa seconda prova registica di Sean Penn: "Tre Giorni Per La Verità". E chi meglio del divino Jack Nicholson poteva interpretare al meglio questo ruolo estremamente drammatico. Freddy è un uomo di mezz'età che vive totalmente distrutto dalla tragica perdita della propria figlia, causata da un giovane che guidava in stato di ebrezza. Per lui non conta più niente. Ma davvero niente. E come biasimarlo.
Come è lui stesso ad ammettere, l'unica cosa che lo tiene in vita è la sete di vendetta nei confronti dell'involontario assassino della sua piccola, nel frattempo uscito. Questa tremenda sete lo porterà ad assalirlo nella sua casa con la pistola pronta. Ma l'imprevisto dell'arma non funzionante lo porterà a concedere al ragazzo 3 giorni ancora, dopo un breve ma intenso scabio verbale. Questi 3 giorni o poco più porteranno il protagonista a riflettere molto.
Senza svelare oltre la trama del film, si può dire che la sublime interpetazione di Nicholson rende la pellicola davvero struggente a tratti. Come quando si vede l'attore camminare per strada con lo sguardo perso. Come quando si sveglia dopo un incubo e scoppia in un pianto a dirotto al telefono con l'ex moglie; momenti di pura drammaticità. La perdita di un figlio ovviamente non può mai essere capita fino in fondo da chi non l'ha provata con la propria pelle. Ma pure il co-protagonista David Morse, attore probabilmente assai sottovalutato, offre una grande prova. Come Sean Penn che mette in risalto con rara maestria sia lo smarrimento dell'uno, che il tremendo senso di colpa dell'altro.
Il finale estremamente filosofico e commovente renderà questo prodotto un semicapolavoro. Riportando alla mente una riflessione iniziale: ma chi è il regista di questo spettacolo di merda?
Da vedere.
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