Il tutto del poco e il troppo del troppo.
Sean Rowe nel 2012 si rifà vivo dopo il successo (successo nel senso che invece di 10 lo hanno ascoltato in forse 1000) di "Magic".
E lo fa con un album con un unico problema: la produzione.
Ci sono pezzi in quest'album che sono stati riempiti di così tanti suoni che non si capisce il motivo.
Come le chitarre che soffocano Joe's Cult o in Downwind, dopo il primo, fantastico minuto esplode in suoni se non completamente a caso, quanto meno in soprannumero.
Certo è un difetto che se ne va insieme ai primi ascolti, poi te ne fai una ragione ma non si può comunque che storcere il naso.
E come cavolo non sia stato lui ad accorgersene del problema della saturazione dei suoni ascoltando Old Shoes, che vive di nulla e risulta la migliore del lotto.
Che capisco che tutto un album così sarebbe venuto a noia ma bisognava comunque trovare una via di mezzo.
Il resto è un album onesto, un songwriting solido e il vocione che sembra di ascoltare un bel mix tra Tom Waits e Springsteen.
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