Uno dei principali argomenti utilizzati dai detrattori di Milano è quallo che "non avete il mare". Neanche la montagna se è per questo, e se ne accorge soprattutto chi viene da Roma: Milano è piatta, non ha salite nè discese. E neanche il mare. Nemmeno Londra ce l'ha, così come Parigi o Berlino, ma lì giustamente importa meno.
Milano ha mille motivi per essere odiata, ed altrettanti per essere amata per quanto mi riguarda, è un luogo in cui la bellezza non ti viene sbattuta in faccia ma te la devi andare a cercare. E' una persona che, frequentandola, scopri essere speciale; con lei devi avere pazienza. Comunque, vero: Milano non ha il mare. Ci siamo inventati l'idroscalo per rimediare un minimo, e chi vuole le onde salate deve prendere la macchina e farsi l'autostrada per Genova. Oppure spingersi più in là in Versilia, o sulla riviera Adriatica dall'altra parte. Insomma, se uno vuole il mare vero, quello che dico io, non può sperare di andarci in giornata. E allora che fa? Magari in una sera piovosa come questa, martedì, mette un disco come quello dei Seapony e chiude gli occhi.
Loro vengono da Seattle, resa famosa da ben altra gente, ed almeno con questo primo disco non hanno la pretesa di imporsi come nuova icona indie-pop, vogliono solo che ascoltando l'iniziale "Dreaming" tu possa pensare a loro come a qualcuno da poter frequentare in futuro, senza pretese. "Go With Me" sa di salsedine, l'immagine in copertina di questa controfigura di Rinoa Heartilly fissa una massa liquida ferma che puoi sentire muoversi sotto i piedi mentre passa "I Never Would", forse unico vero motivo che potrebbe valere l'acquisto di questo disco azzurro qualora lo trovassi vagabondando fra qualche bancarella. Chitarre distorte e voce eterea, che a tratti ricorda la Julee Cruise di "Twin Peaks" mentre canta nel buio per David Lynch. Sono acerbi, un limone verde, possono dare l'impressione di una delle tante band di sbarbati incasinati con gli effetti che non appena trovano la configurazione ideale delle manopole non la toccano più (roba come "Go Away" o "So Low" la suonavo anch'io con un braccio solo e il plettro fra i denti), eppure a volte sanno essere una conchiglia che se la appoggi all'orecchio davvero il mare lo senti, cavalloni e risacche ("Blue Star"), tramonti rossi ("What You See"), ricordi ("I Really Do"), voglie d'acqua ("Always"). Nessun pezzo sopra i 3:36, piccole gocce immaginarie che ti bagnano il viso quando, a Milano, il mare non ce l'hai.
I Pony Marino si fanno notare con un disco di pezzi forse troppo simili fra loro e che proprio per questo termina in maniera anonima (dopo "With You" ti aspetti ne inizi un'altra uguale), eppure suona fresco, merita uno sforzo, Jen Weidl merita un abbraccio sul pontile mentre il vento le scombina i capelli, per gli altri due una birra al pub, sotto la veranda.
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