A vederlo così su due piedi, col suo fare trasandato, i jeans sdruciti di diverse taglie più larghe, la camiciola a scacchi e il cappello scolorito da truckdriver, Seasick Steve potrebbe tranquillamente essere il tizio appena uscito da un centro d'impiego di periferia.

Certo è che le sue mani ne hanno di cose da raccontare, nodose, callose e irsute di tattoo..e altrettante ne hanno le sue rughe, perchè dal '41 ad oggi di strada ne deve aver percorsa allo sfinimento. Hubcap Music è la sua sesta fatica di studio, dal 2004 ad giorni nostri, e lui la affronta con lo stesso sorriso sulle labbra del bambino curioso la prima volta al luna park. Bando alle ciance, perchè non basterebbero venti cartelle per inoltrarci sul discorso della purezza, dell'onestà, dello spirito con cui si affronta la carriera musicale. Lo prendiamo così come si presenta, una stretta di mano e una pacca sulla spalla, 72 primavere suonate e la sensazione che stia vivendo il revival che altri prima di lui (vedi Junior Kimbrough e RL Burnside nei primi '90, scongelati dall'audience americana e non solo in un'ondata di seconda o terza vita del blues) hanno imbeccato un paio di decadi orsono. "Maldimare" Steve, tuttofare per passione, hobo per vocazione, roadie, marinaio, carpentiere e chissà quanto altro, passato in sordina nella natia America ma osannato da mecenati dal calibro pesante come possono essere uno sconosciuto strimpellatore come Jack White, o un tizio di mezza età come John Paul Jones (entrambi guest star sul disco) ci sputa subito in faccia il tipo che è, come se fosse seduto sulla ballatoia di un juke-joint della Lousiana alla terza birra, tra una presa di tabacco e i respiri rochi di chi si è spaccato la schiena per una lunga giornata. Lo fa in maniera rurale, introducendo l'opera col gracchiare catarroso di un John Deere, quasi a farci dare un'aspirata di gasolio per prepararci all'ascolto. E che attacco, signori! L'handmade guitar del vecchietto in questione ci schiaffeggia subito arzilla in un boogie stile ZZTop, Dan Magnusson mena grezzo sui tamburi..sordido, essenziale, pesante quanto basta, un motivo che non può non rimanere in testa.

"Down on the farm" ci dice il refrain, e difatti quello è l'ambiente. La trecorde gioca precisa fino ad un lancio di slide che impenna la qualità del brano..ed il disco è appena iniziato. Seasick Steve alla sua età deve avere il vizio di ripetere le cose..Quindi perchè non spiattellarci in faccia il manifesto di quello che è e che vuole rappresentare. "Self Sufficient Man" è una promessa, un patto di sangue, il blues scafato di chi ci tiene a dire in faccia quel che pensa. Un giro classico, una pentatonica minore, ma un groove unico speziato dalla distorsione potente e dalla voce profonda e baritonale del "nostro". Il ritmo non accenna a diminuire, dopo un intro acustica subito parte il tempo di "Keep on Keepin' On" brano che musicalmente può ricordare l'andatura dispari dei primi lavori dei North Mississippi Allstars di Luther Allison. Un bel lavoro di basso, un arrangiamento studiato al diddely-bo, altro attrezzo costruito nello scantinato, una scatola di sigari elettrificato da un pick-up di bassa lega. Prendiamo giusto un attimo di respiro e il disco inverte la rotta, arriva la prima ballata, e con essa sembra ancor più di essere immersi nel verde della campagna, una slide leggera suonata fingerpickin', l'impreziosimento di un mandolino a suggellare i bridge. La voce vissuta di Seasick Steve a raccontarci una poesia country, una versatilità dolce che però non stona affatto con quanto ascoltato fino ad ora. Con "The Way I Do" si ritorna in territorio blues, ritmo cadenzato ad un quattro quarti sornione, una canzone che ci prende per mano prima di sbarcare in un nuovo porto sicuro. "Purple Shadows" strappa una lacrima, duetto easy con voce femminile, liriche che parlano di quanto ci si possa scottare nell'amare, il blues che lascia spazio ad un country crepuscolare, la steel-guitar che incornicia il tramonto descritto nel titolo tra tonalità che abbracciano la tristezza e la melanconia.

Facciamo in tempo ad asciugarci i residui della commozione e via un nuovo stomp torcibudella, di quelli che odorano di sigarette e jack daniel's, in controtempo, la slide sempre in primo piano contraltare di quella voce grave e biascicata che l'eroe in salopette caratterizza dal debutto. Il disco fila via senza battute d'arresto, senza inghippi, un mix riuscito di blues elettrico, per niente scontato, e dolcezza country folk caratterizzata da gusto e da esperienza. "Hope" è un blues classico che sembra uscire dalle field recording di Lomax, sembra d'essere nella più nera delle campagne, seduti attorno a un fuoco che si sta spegnendo. Siamo in clima di grande depressione, sembrano gli anni post new-deal e le sonorità ci avvicinano a fantasmi usciti dagli armadi e pronti a camminare per le strade della modernità. "Heavy Weight" torna a picchiare pesante, un bel boogie giocato su terzine cadenzate e precise. Un pezzo da novanta dice Seasick, e del resto alla sua età uno può essere talmente hardcore da cantarsela e suonarsela da sè. "Cost is Clear" è l'ultimo pezzo cantato dell'album, ed è un saluto introdotto da un bell'organo, un refrain che profuma di speranza per un futuro incerto. C'è spazio per i fiati, una melodia vagamente sixties e il basso che gioca a ripetere il tema centrale del brano. Cori femminili a far battaglia alla voce profonda. Gli ultimi cinquanta secondi e spiccioli dell'album tornano sul suono del trattore del principio, come a dire.."Ecco dove parto ed ecco dove arrivo". Coerenza, una bella sgasata, il motore si spegne ma io sono ancora qui coriaceo e sicuro di me. In soldoni giudicare Hubcap Music mi sembra sin troppo semplice..è un grande album. Un grande album perchè suona vero al contrario di molta della musica che ci arriva alle orecchie di questi tempi. Indipendentemente dal genere, dal palco, dall'audience..Seasick Steve ci regala una perla di semplicità eppure di solidità, non ci dice solo dove è arrivato dopo tutto il suo peregrinare, ma ci fa intendere quale sia la rotta che ha già tracciato per il futuro. Produzione ottima, apparizioni eccezionali di artisti che fanno letteralmente a cazzotti pur di dividerne il palco.

Chiaramente non c'è da gridare al miracolo, per il semplice motivo che nemmeno Seasick griderebbe..al massimo un'alzata di boccale, un brindisi a celebrare quello che è. Un hobo che ce l'ha fatta, gemma vincente della filosofia "meglio tardi che mai". Come tutta la sua discografia è uno di quei capisaldi che o si amano o si odiano, ma per chi ha una certa affinità col genere e sopratutto adora la verità bofonchiata a mezzi denti ma dritta nel muso, è una realese da non lasciarsi scappare.

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