I Secret Shine non saranno mai stati lo stato dell'arte dello shoegaze, sapranno pure di già sentito, ma sono di certo un gran bel sentire. Precisazione doverosa; parlando con alcuni degli adepti più ortodossi del Verbo, un povero chierichetto potrebbe farsi l'idea che a)tutti I dischi shoo-gays degli anni 1988-1994 siano piccoli scrigni di perle preziose da disseppellire per mostrare agli amici di essere i più fichissimi della facoltà b)tutti i gruppi che si guardano le scarpe dal 2000 in poi siano onesti mestieranti di seconda fascia che «li ascolto ma non sono come la roba seria™». La seconda di queste affermazioni è smentita dall'esistenza di certa gente, la prima dall'esistenza di gruppi ormai storici che «se sono un po' di nicchia un motivo pure ci sarà».

Untouched, uscito per Sarah Records nel 1993, è l'esordio dei Secret Shine da Bristol. È un buon disco: la miscela è sempre la solita di chitarrocce massive, voci femminili che dicono "uuu-aaa", batteria che senti solo ta-ta-ta, muri sonori bellissimi e tanto dream pop. È una ricetta che non sbaglia mai, proprio come quella degli arrostini annegati (infarinate fettine di lombo di vitello e fatele arrossare a fuoco vivace in un tegame con "Olio Karol"; diminuite il calore, salate, aggiungetevi acqua, coprite il recipiente e tirate il vitello a cottura).

Shoegaze solido e ordinato insomma. E, come tanti gruppi di area dreampoppara, i nostri hanno fatto pochi album e tanti EP quasi più belli dei dischi. Qualche malfidato si chiederà se i Secret Shine rappresentano veramente qualcosa di più di un riuscito miscuglio tra i numi tutelari del genere, i soliti, immancabili, My Bloody Valentine e Slowdive. Come se essere un miscuglio tra due numi tutelari sia poco. C'è quindi un motivo valido per cui Untouched è un disco un poco di nicchia? Il fan-boy dello shoe-gaze che c'è in me dice di no. Il me stesso più obiettivo dice di boh.

Carico i commenti...  con calma