Spulciando un po' le poche notizie disponibili in rete sui Sensations' Fix, ho avuto modo di notare che il loro quarto album "Finest Finger" (1976) è considerato un mezzo passo falso, per via di sonorità più accessibili e commerciali rispetto al passato. Gentili lettori, se volete la mia opinione, vi consiglio di diffidare da questi commenti. E' vero che con il disco in questione il gruppo aggiusta il tiro verso suoni più fruibili, ma non stiamo parlando di scelte stilistiche che hanno permesso ai Nostri di occupare i piani alti delle classifiche e di vincere qualche Festivalbar! L'impostazione di base resta sempre uno space-prog molto peculiare all'interno del panorama italiano, soprattutto in un periodo in cui molte band stanno davvero abdicando al progressive e al rock in generale per imboccare percorsi molto più redditizi e sicuramente meno nobili. Secondo il sottoscritto, le soluzioni intraprese in "Finest Finger" rappresentano una notevole evoluzione, altro che passo falso o commercializzazione.

L'ingresso del tastierista di ruolo Stephen Head giova innanzitutto al leader e tuttofare Franco Falsini, il quale si concentra sulla chitarra e sulla voce, con risultati del tutto pregevoli: l'opener "Strange About Your Hand" , come mai ancorata alla forma canzone, è dotata di un ritornello addirittura indimenticabile, questo anche grazie ad insidiose linee di canto. La scelta di cantare in quattro degli otto pezzi qui presenti si rivela quindi una carta vincente, così come i suggestivi inserti di chitarra acustica che mitigano qua e là l'algida profusione di sintetizzatori, effetti cosmici e suoni artificiali: esempi a tal riguardo sono gli splendidi strumentali "Just A Little Bit More On The Curve" e "Map", il primo strutturato su ipnotiche trame di basso ad opera di Richard Ursillo, talmente moderne che col senno di poi non stonerebbero in un disco dei Tool, il secondo caratterizzato da un ottimo lavoro alla batteria da parte del compianto Keith Edwards. Migliora anche la produzione, benché continui ad essere autonoma. Insomma, è chiaro che è stato compiuto un notevole passo avanti rispetto alla plumbea e monumentale strumentalità del predecessore "Portable Madness" (1974), comunque apprezzabile, e forse per la prima volta sono i singoli pezzi a fare la differenza, benché l'essenza della musica rimanga intatta e le partiture restino piuttosto complesse.

Per dovizia di particolare, c'è qualche citazione da "Portable Madness": la già citata "Strange About Your Hand" attinge a mani basse da "Strange About The Hands" e non solo nel titolo, e anche la title-track riprende un frammento dello stesso pezzo. Ma è davvero troppo poco per imputare al gruppo un calo di ispirazione. Quindi, con tutto rispetto per le opinioni altrui, ribadisco: con questo album i Sensations' Fix non si sono trasformati nei corrispettivi italiani dei Rockets (quelli sì dicevano di suonare "space rock", titolo anche di un loro pezzo, e poi invece riempivano le piste delle discoteche!), anzi hanno dato una buona prova di coerenza e realizzato un ottimo prodotto. Ora lascio a voi giudicare, io intanto me lo riascolto...

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