Death metal atmosferico orchestrale.

Detto così, farebbe andare di squaraus selvaggio anche il sottoscritto, che quanto a pessimi gusti musicali se ne intende un pochino. E, in effetti, quando si parla di metallo estremo imbastardito da orchestra, tastierine, coretti e pasticceria varia il primo nome che in genere balza alla mente è: Dimmu Borgir, nonché tutte le porcherie che ci hanno propinato nello scorso decennio fino al mediocre “Abrahadabra”. Non per niente quando qualche anno fa sentii parlare dei Septicflesh e della loro proposta musicale mi scoraggiai parecchio, prestandomi così con una certa riluttanza all’ascolto di “Communion” (2008), esplosivo comeback del gruppo dopo lo scioglimento nel 2003. Inutile dirlo, il lavoro svolto da questi quattro demoni greci mi sembrò per fortuna non una, ma dieci spanne sopra i loro “cuginetti” (ex-)blacksters dalla fredda Norvegia.

Senza contare il fatto che nessun membro del gruppo voglia conciarsi come se dovesse partecipare al carnevale true grim di Oslo con tanto di copricapo-polipesco reale e scettro di Sailor Moon, il quartetto greco ha un’attitudine un po’ più onesta e diretta col proprio pubblico: insomma, si punta più sull’arrosto che sul fumo. E se con “Communion” di arrosto ne avevamo di che saziarci, posso assicurare che questa nuova “Grande Messa” (2011) sarà destinata a diventare col passare degli ascolti una “Grande Grigliata”. Di carne umana, ma questi sono dettagli.

Non si può negare però che questa volta i Septicflesh abbiano voluto fare le cose in grande: supportati da una massiccia dose di pubblicità, una produzione stellare e, di nuovo, un’intera orchestra con cori annessi, ci consegnano quella che è la loro opera più ambiziosa e, a detta di chi scrive, anche più completa e matura di sempre.

Quali sono le differenze rispetto a “Communion”? In realtà poche, se non nessuna. Il genere resta sempre quello: un death metal roccioso (ma non troppo), rimpolpato dall’orchestra sempre presente (ma non troppo), impreziosito da sfumature mediorientali (non solo musicali!) che sembrano ricalcare un po’ gli ultimi lavori di Behemoth, Nile e compagnia accadico-assiro-babilonese-vattelapesca varia. Allo stesso tempo però possiamo riscontrare una maggiore pienezza nelle composizioni (stavolta davvero curatissime, varie, imprevedibili, ricche di particolari) e un uso ancora più versatile e coerente delle orchestrazioni, divenute vera e propria ossatura dei brani. Insomma: quasi zero novità, ma un lavoro di consolidamento impeccabile; e non è un caso che si stiano facendo notare così tanto nella scena ghisallara per quest’ultima uscita!

A conferma di quanto detto finora basterebbe dare un ascolto all’opener e singolo-antipasto “The Vampire From Nazareth”, seguito a rotta di collo da “A Great Mass Of Death”: la prima è spaventosamente cinematografica, uno spietato ed elegante cingolato pilotato da Pazuzu in persona pronto per fare la sua porca figura in sede live, mentre la seconda si snoda audacemente tra aperture epiche, ritmiche contenute ma serratissime, stacchi classicheggianti da colonna sonora per poi infine schiantarsi a tutto gas in un’orgia di sferragliate metalliche, cori invasati e orchestrazioni orgasmiche. E questa era solo la doppietta iniziale!

“Pyramid God” è un’ incalzante scalata in mid-tempo destinata anch’essa a venire risucchiata dalla filarmonica sul finale, ed episodi come l’inquietante The Undead Keep Dreaming” e soprattutto la desertica Oceans Of Grey” (preferita dal recensore!) non fanno che risaltare l’aura di sinistro misticismo di cui è intrisa questa grande messa/grigliata. Per non parlare poi della schizzatissima Mad Architect” dove i nostri greci sembrano aver bevuto qualche litro di caffè di troppo e il tutto si traduce in una parossistica sfilata di orrori, incubi, visioni ancestrali e chi più ne ha più ne metta.

Nota a parte per il cantato pulito di Sotiris: personalmente l’ho sempre trovato fuori luogo (se non irritante) soprattutto nei brani di cui è vero protagonista: in questo caso “Rising” fa un po’ il verso alla “Sunlight/Moonlight” presente in “Communion” e il risultato è più o meno lo stesso, ossia ammosciante e privo di mordente. Sembra quasi che i Septicflesh vogliano variare a tutti i costi, e forse non sanno che in realtà non hanno affatto bisogno di certi espedienti. Sfortunatamente la storia si ripete con l’ultimo brano “Therianthropy”: dopo tutto il ben di Di... ehm, di Ishtar propinatoci finora, i Septicflesh decidono di concludere affidandosi ancora una volta ad arrangiamenti sì eleganti, ma un po’ insipidi e appiattiti dal timbro nasale di Sotiris; insomma, dopo la supergrigliatona colossale, arriva la Clerici col suo grand soleil a rovinare il tutto.

A dispetto di certe piccole cadute di tono, comunque, un lavoro di classe come “The Great Mass” è un’autentica manna per il mercato metalloso degli ultimi tempi, specie se confrontato coi vari pretenziosetti “Abrahadabra” che riescono solo ad impacchianire un genere musicale ormai spremuto e rivoltato all’inverosimile. In ogni caso siamo di fronte ad un gioiellino di rara qualità destinato ad entrare nelle classifiche 2011 dei metallari più indefessi, tra i quali mi inserisco con una certa circospezione...

Intanto, caro il mio Shagrath, prendi nota.

P.S. che nessuno mi freghi la limited box edition al Mariposa; è mia!!

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