"C'era una volta". Davvero, così si potrebbe cominciare questa recensione. Perché quello che un tempo c'era non c'è più. Finito. E se c'eravate anche voi tanto di guadagnato, se no ve lo siete perso. Perché quella dei Sepultura a ripensarci oggi davvero sembra una favola, solo che il lieto fine, purtroppo, si sono dimenticati (volutamente) di scrivercelo.

Perché partire a quattordici anni quattordici da un buco di un quartieraccio di una megalopoli brasiliana e arrivare nel giro di meno di un lustro al top della scena rock-metal mondiale non è davvero da tutti. Su Debaser questi quattro disperati sono stati definiti, a ragione, "una granata che ti esplode in faccia" o qualcosa del genere, e direi che a livello di concetto ci siamo. A risentirli oggi ci si chiede come sia stato possibile. Perché, sia ben chiaro, a parte un paio di album di inizio anni Novanta, questi qui di capolavori, a mio modestissimo giudizio, non ne hanno mica scritti, eh, ma è gente che è/era riuscita a guadagnarsi la stima ed il rispetto un po' di tutta la comunità rockettaro-metallaro-alternativa dell'epoca. Della serie: non mi importa, ma solo per il fatto che lo fai per me va bene così. E se poi ci aggiungiamo dei concerti che erano davvero una mazzata, un bagaglio tecnico discreto che dava la possibilità di scrivere brani ben strutturati ma che non diventassero sterili poemi cavallereschi (traduci: roba infinita) in stile peggior prog metal e una bella dose di rabbia, il gioco è fatto. Perché è proprio questo quello che traspare dai solchi dei vari "Beneath the Remains", "Arise", "Roots": rabbia. E una volta tanto non una rabbia "inventata a tavolino", perché "fa figo", ma una vera e propria frustazione, disincanto, la descrizione un (Terzo) Mondo sull'orlo della fine, la più totale mancanza di speranza.

Esagerati? Forse un pochino sì, ma visto il contesto in cui molti di quei brani sono nati è chiedere tanto che ne uscisse fuori qualcosa di diverso. Testi scritti in un inglese basilare (non credo che i nostri abbiano mai sostenuto un First),  ma dal contenuto (quasi) mai banale, che poteva dar spunto alle volte a più di una riflessione, su temi che andavano dalla repressione politica e religiosa, alla riscoperta delle proprie radici culturali, al sindacalismo. Una sorta di terzomondismo-no global con quindici anni di anticipo. Ma la musica? Un violentissimo thrash metal che prendeva a piene mani dall'heavy più classico, dal death metal e dal punk hardcore, la formula perfetta per trasmettere quel senso di fretta, di impellente necessità, di urgenza comunicativa. La relativa stabilità delle formazioni e il rapporto di parentela che lega i due fondatori del gruppo fa sì che i Sepultura, da ensemble di pseudo-diseredati come tanti, diventino un affare di famiglia, oltre che di profonda amicizia. Fine della favola.

Poi il giocattolo si rompe, ognuno o quasi va per la sua strada e la cosa da "bella favola" passa all'opzione "telenovela sudamericana più che patetica", dando vita ad una serie di botta-e-risposta ad episodi che va avanti da non meno di dieci anni, tra gente che rivendica il glorioso nome ed altri che di "riprendere" transfughi vari non vogliono proprio saperne. Sia chiaro, il meglio dei Sepultura era dal vivo. Negli album qualche calo di tensione c'era sempre, bravi, e tanto, ma da qui a considerarli i nuovi Metallica ce ne passava: nei concerti invece quella rabbia, quella tensione, di solito concentrati in 33 giri, trovavano la propria naturale valvola di sfogo, per un gruppo fiero di dimostrare le proprie capacità da una parte ed un pubblico che dall'altra parte non aspettava altro. I Sepultura con i propri fan erano un unicum, la Sepultribe, appunto, nome francamente risibile ma che rende l'idea. "Forza, poghiamo e sudiamo tutti insieme": qualcosa del genere.

E visto che i nostri un disco dal vivo ufficiale non l'hanno mai fatto, l'unica è di andarsi a recuperare qualche bootleg dei bei tempi andati. E questo "Amen Live" non è mica male: in pieno tour di "Chaos AD", al massimo della fama, con un'età media che si aggira intorno ai venticinque anni, vantano già dieci anni di carriera, una discografia invidiabile e un pubblico tutto per loro. Registrazione-cesso d'ordinanza, basso inesistente e batteria suonata a mo' di martello pneumatico, titoli dei brani scritti ad cazzum e manco si capisce dove sia stato registrato: gli elementi per il classico bootleg ci sono tutti. I classici, almeno un parte, fanno la loro figura e non si dovevano ancora aspettare "i pezzi vecchi" per sentire della roba decente. Tutti quegli elementi che ai tempi fecero la fortuna dei quattro di Belo Horizonte sono qui. Se l'articolo (nel senso del disco, mica 'sta menata di finta recensione) interessa ascoltatevelo e fatevi questo piacere. All'epoca lo trovai per puro caso ad una bancarella e per questo pulciosissimo vinile sborsai la bellezza di lire trentacinquemila, convinto dal tipo che si trattasse di qualche enorme rarità. Rarità o no non lo so, però ai tempi apprezzati. Ah, sia chiaro, per carità di Dio, state lontani da riappacificamenti tra fratelli ed ex amici che se la fanno con afroamericani. Almeno il caro vecchio gusto per la nostalgia lasciatecelo. 

 

Sepultura:

Max Cavalera, voce e chitarra

Andreas Kisser, chitarra

Paulo Jr, basso

Igor Cavalera, batteria e percussioni

 

Amen Live:

- Lato A:

Refuse/Resist

Territory

Antichrist (in realtà è "Slave New World")

Amen

We who are not as Others

- Lato B:

Inner Self

Arise

Propaganda

Biotech is Godzilla

Crucificados Pelo Sistema

Orgasmatron

Policia

 

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