A 10 anni dall'ultimo album con la voce storica della band (Max Cavallera) "Roots", da molti osannato come un bellissimo e riuscitissimo tentativo di rinnovamento e unione dei ritmi tribali al metal e che altri hanno definito come album pessimo proprio per i “tocchi” tribali inseriti dalla premiata ditta Cavallera & Co.

Dopo i due album successivi ("Against" e "Nation") che crearono malumore e delusione tra i vecchi fans che, nonostante si aspettassero un declino dopo la dipartita del leader della band, mai avrebbero pensato a due album così sottotono. E con ancora l’eco l'ultimo "Roorback" (che ha fatto sperare in un debole ritorno a suoni e cantato più aggressivi, ma che invece si è spento in un ennesima “sfollata” musicale), arriva l’ ora di ascoltare 'Dante XXI'.

Dopo la intro Lost (che fa da preambolo al viaggio di Dante nella “selva oscura”) veniamo investiti per quasi 1 minuto e mezzo da un ritmo ripetitivo e quasi soffocante della vera e propria opener, ritmo scandito da batteria e chitarra, che lascia il posto negli ultimi 40 secondi ad una parte veloce e serrata che fa capire all’ ascoltatore che forse qualcosa si è mosso nella mente dei nostri. Si passa al ritmo cadenzato e graffiante di “Convicted In Life” che però ci sorprende con 3 accellerazioni al fulmicotone che fanno quasi gridare al miracolo, sarà sicuramente devastante dal vivo. I ritmi sembrano smorzarsi con “City Of Dis”, ma è solo un’impressione, veniamo infatti investiti dalla doppia grancassa di Igor e dai riffs sporchi di Kisser, che si alternano a parti più lente e cadenzate. Inizia “False” e mi sembra di tornare a suoni di Roots soprattutto per le parti di chitarra, non è comunque un auto-plagio, anzi si fa apprezzare sia per la velocità che per il coinvolgimento che crea dall’inizio alla fine quando il ritmo passa ad essere cadenzato, buono il solo di Andreas.
Fighting On” conclude nel migliore dei modi la prima parte dell’album (dalla canzone 1 alla 6) che si rifà all’inferno dantesco; è una canzone cadenzata, lugubre e cattiva è quasi sofferta ed è una delle migliori (anche a livello interpretativo) da quando c’ è alla voce Green.

Limboci introduce al purgatorio con violoncelli e chitarra, ma subito parte “Ostia” ancora ritmi cadenzati e grande lavoro alla batteria di Igor, i riffs sono sempre azzeccati e ci fanno scordare una manciata di riffs pessimi e poco ispirati degli ultimi lavori; verso la fine un interessantissima incursione di violoncelli e di pianoforte che comunque non snatura il sound cattivo del brano. “Buried Words” torna su ritmi più elevati e continua a mantenere alta la tensione dell’album (che non è ancora caduto in tribalità, lentezze o inutili e pesanti divagazioni già ascoltate nel recente passato). “Nuclear Seven” (ispirata ai sette peccati capitali) è una canzone che, anche se non veloce come altre, rilascia una notevole carica e continua a tener alto il livello totale dell’album, particolare nota per il buon solo di chitarra. “Repeating The Horror” ha un buon groove, ma non mi convince del tutto e non si fa ricordare come altre tracce. Altro stacco di violoncelli con “Eunoé” e poi si parte nuovamente ad alte velocità con “Crown And Miter”, che anche rimanendo su alti livelli, non brilla troppo per originalità. “Primium Mobile” ci introduce invece alla strumentate ed epica “Still Flame”, brano conclusivo dell’album. Un coro che definirei tra l’epico ed il tribale lascia spazio ad una canzone che rispecchia perfettamente il contrasto che deve esserci tra le prime due cantiche (Inferno e Purgatorio) e l’ultima il Paradiso, cantica dalla quale questa canzone prende ispirazione. Il brano è un crescendo musicale che arriva al temine con l’incalzante ritmo dei violoncelli che si confondono con le urla finali di Green.

Nel complesso un album che ci ripropone una band in forma e certamente più ispirata che negli ultimi lavori, che obbiettivamente (senza toccare le loro divagazioni tribali che possono piacere o meno) presentavano poco o nulla di interessante. L’attesa è sicuramente grande per il live dell’ 8 aprile di supporto agli In Flames, se queste sono le premesse sicuramente vedremo una band tirata a lucido e motivata che farà divertire e pogare tutti, una cosa è certa i Sepu sono tornati ad alti livelli.

Faccio una nota personale, è vero che Green (che in questo lavoro sfoggia la sua migliore prestazione) non ha le doti di tanti altri cantanti metal, ma è fuori discussione che il confronto con il suo predecessore è perso in partenza, quindi forse il giudizio (il mio in primis) su di lui è falsato da questo fatto, comunque la sua prestazione mi è sembrata abbastanza convincente e sentita.

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