Prendete due vecchie BC Rich dall'elettronica irrimediabilmente compromessa e attaccatele rispettivamente al citofono di casa ed al tostapane di vostra madre. E scordatele. Poi prendete un bel servizio di pentole di quelle che vi vendono – pena l’abbandono nel cuore della Barbagia - in uno di quei viaggi di un giorno – tutto compreso, 15 euro- in pullman per la terza età. Ponetevi dietro questi strumenti. Poi prendete la vostra cuginetta di sette anni e mettetele in mano un basso (il risultato sarebbe forse stato migliore). Chiamate la compagna di classe di vostra cugina – sì, quella che era nata col forcipe, quel giorno che, per un disguido, a operare c’era l’idraulico- imbottitela di acido, fatele vedere “Amityville Possession”, datele carta e pastelli e fatele fare un bel disegno da schiaffare in copertina. Infine rubate a vostra nonna il disco dei “Carmina Burana”, così per fare l’intro e l’outro. Ci siete quasi. Cosa manca, ancora? Ah già, dovete registrare il disco. Quindi, scrivete una manciata di liriche del tipo “Satana è il mio consulente”, rubate il “CantaTu” di vostra sorella, ritiratevi in salotto, con un bicchiere di caipirinha a testa, e date libero sfogo alla vostra rabbia. Il risultato? Dipende. Se vi chiamate Mario Rossi, o Giuseppe Brambilla, potrà non essere dei migliori. Ma se vi chiamate Max Cavalera, Igor Cavalera, Jairo Guedz e –ahimé!- Paulo Jr., il risultato non sarà niente di meno che UNO DEI PIU’ DEVASTANTI ALBUM DI DEATH METAL DI TUTTI I TEMPI!
Chitarre come motoseghe (ma il basso piucchealtro una mezza sega), con quella distorsione ronzante che ti entra nel cervello come il trapano del dentista, una batteria che non dà requie, ancora primitiva e involuta ma implacabilmente determinata a distruggere, e una voce melmosa da misto di adenoidi e polipi alla gola. E’ proprio la qualità fortemente naif di tutto il disco –esordio dei Sepultura, se si esclude l’EP “Bestial Devastation” dell’anno prima- a rendere questo lavoro sinistro, inquietante e bellissimo. La tecnica basilare, la registrazione pessima, l’ingenuità sia delle liriche che del songwriting, il bassista che più che un bassista è una punizione divina, non tolgono un solo grammo di splendore a questo disco, e anzi fanno risaltare ancora di più la rabbia (e l’entusiasmo di poterla mettere in note) di un gruppo che per regalarci “Schizophrenia” e “Beneath the Remains” avrebbe avuto solo bisogno di un altro paio d’anni.
Ogni pezzo è una perla di cattiveria. Nel complesso il disco è molto –anche troppo- omogeneo, le strutture si ripetono e i suoni non cambiano, ma anche in questo sta il bello. Perché ascoltare “Morbid Visions” è come entrare in una palude scura e fumosa, dove per quanto si giri lo sguardo non si vede altro che fanghiglia nera e ribollente, e ombre sinistre che ci lambiscono da ogni lato. Insomma, anche se le canzoni si assomigliano un po’ tutte, e in alcuni casi si fatica a distinguerle (vedi l’inizio di “Troops of Doom” e “Funeral Rites”) il disco colpisce diritto al cuore, non si può non amarlo. E una canzone come “War” vale da sola l’ascolto, monolitico affresco di cattiveria, con un refrain strumentale ostinato e un assolo di chitarra lancinante come un urlo di agonia.
Se una delegazione aliena arrivata sulla Terra minacciasse di distruggerci se non facessimo loro conoscere il vero Death Metal, oltre a Reign in Blood degli Stayer, Screma Bloody Gore dei Death e Seven Churches dei Possessed, io darei loro questo. Sperando che ci perdonino Paulo Jr.!
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