Ed ora, come finirò questa estate? Quale il colpo alla nuca? Voglio sentirmi un po’ suburbia. La voglio distesa sul pavimento, voglio farle scricchiolare la spina dorsale con la suola consumata delle scarpe eleganti di pelle e poi premere il grilletto ed imprimere il fotogramma in bianco e nero degli schizzi di materia a mo’ di eruzione vulcanica. Preparo la sua fine oggi, di giovedì, pensando a come chiudere le feste e non trascinare quest’agonia delle maniche corte troppo oltre, anche se fa caldo e nel week end continuo imperterrito a fare il bagno.

Il controesodo mi lascia solo. Purtroppo, chi resta – cinicamente – non vale quanto chi va. E allora voglio far felici questi quattro sbarbati rimasti soli, fare da grande madre ancora una volta e non rivederli più per altri nove mesi. Da infame. Voglio lasciargli un ricordo che incuta rispetto. Quel rispetto che, quando fingerò di non conoscerli in inverno, non gli farà pensare che sono uno stronzo, li stranirà, in fondo. Ma alla fine deve restare in loro la speranza di potersi riaggregare al prossimo giro estivo.

Chi ci sarà nel prossimo giro estivo?  Sto steso sul divano a fumare e provo ad immaginare un paio di cazzoni e Bilinda Butcher, una ragazza che mi mancherà per sempre e mi manca da sempre e Jonathan Donahue. Ci sarà Eno, forse mio fratello, con Jim Reid e Jake Burns degli Stiff Little Finger, e con Mark Clair e Dennis McFarlane dei 4hero. Buona l’erba.

A questo punto penso che nella sala sgombra da qualsiasi genere di oggetto, quelle due candele sornione illumineranno una situazione particolare: direzione e scoordinamento artistico alla Hugo Ball e Serena Maneesh ad abradere le cortecce cerebrali in una sudata collettiva distruttiva e dedicata alle centrali termoelettriche, nella cui pancia tutto si squaglia.

Squagliano i Serena Maneesh in questa seconda uscita. Le loro fonderie musicali aprono le porte della fornace più o meno a tutti quelli che ho citato prima, e assemblano un disco di un decadentismo impressionante. Un decadentismo che si prende confidenza  con diverse tendenze musicali magnificando, comunque, un rapporto suddito – sovrano, di prostrazione totale, che i nostri hanno nei confronti della già menzionata Butcher & allegra compagnia della Valentina che perde sangue. L’efferatezza e l’evanescenza del sound di questi norvegesi mi fa pensare al momento in cui si apre una bara e si vede lì, sotto i propri occhi, svanire nel nulla di un’aria cosmica, un corpo. Forse la carcassa malandata del punk e della new wave dark, che vengono redente e finalmente, rilassate, accedono ad un luogo che chi vive non può conoscere.

Oppure, semplicemente, per chi s’è fatto in vita sua una robusta fumata d’oppio, ecco, la sensazione è quella magnifica di sparizione totale di qualsiasi paranoia e di confusione libidinosa, senza censure, e priva di qualsiasi inibizione.

L’album si apre con "Ayisha Abyss" che è un casino di dimensioni innaturali. A partire da qui, per tutto il lavoro serpeggia una elettricità devastante e radiosa: di ultima generazione. Ma è proprio qui qui che si capisce di quale morte ci vorranno far morire i SM. Una specie di trance psichedelico (4hero), imbevuto di frustate elettroniche in un’atmosfera totalmente dark in una situazione in cui la cosa più eterea che c’è è la sensazione che con questo album ci si possa fare davvero male. Grande, grande pezzo. Da qui in poi, per una durata di meno di quaranta minuti, la band tasta e verifica con mano un terreno per essa stessa fertile dimostrando di poter produrre uno shoegaze da maestri, infarcendolo di momenti di diversa natura: dalla ballata da trasalimento psicotico, a quella di rimando folk-noise, da brani spigolosi a quelli aperti e metricamente originali. Il tutto governando una spirale di distorsioni colanti, e ritmi alle volte Smithiani, con un uso spietato della cacofonia (sembra proprio che le note, caschino giù dagli spartiti, a sentirli suonare).

Non il massimo, quindi, perché c’è la sensazione netta di aver già sentito tutto ciò. Ma è la forma con cui viene riproposto tutto ciò a funzionare. Contemporanea ed, in un certo senso, catchy.

Sicuramente sarà buona per assorbire per l’ultima volta gli umori inconsapevoli della gente di cui faccio uso.

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