Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su lapoesiaelospirito.wordpress.com

Ivan IV viene incoronato zar di Russia e accentra il potere nelle sue mani. intraprendendo vittoriose guerre contro i Tartari. Ma i Boiardi, per conservare i propri privilegi, tramano contro Ivan, appoggiano un pretendente dei loro e avvelenano la zarina, che fa in tempo ad assicurare un erede a Ivan. Ma lo zar, addolorato, si ritira in un convento, mentre Mosca e il suo popolo chiedono il suo ritorno.

E' questa la prima parte (la seconda fu distribuita in Italia col titolo La congiura dei Boiardi) dell'immenso affresco storico dedicato da Ejzenstejn, il maggior regista sovietico, a un sovrano assoluto; ma più che l'intenzione quasi agiografica a valere sono i valori della messinscena, soprattutto nell'uso plastico della luce, dei luoghi e dei visi, ispirati all'arte e alla pittura. Un affresco storico? Un dramma politico? Una tragedia privata? Semplice propaganda ideologica?  No, è un film di ampi respiri universali, un attraversamento di tutte le stanze del potere, della vita privata di un monarca (il dramma di Ivan è l?incapacità di distinguere il privato dal pubblico). Dramma quindi d?interni e interiore, la storia di una nazione (il passato che guarda al presente) e, contemporaneamente, un film prfondamente umano nella riproposizione di un uomo destinato già al potere ma perseguito da quelli che non sopportano la sudditanza.

E? quindi il dovuto destino di un capo (molti i motivi che fanno pensare al culto del carisma staliniano, ben evidente anche nel precedente Alexandr Nevskij, e molti per inquadrare i Boiardi come oppositori interni a quel regime: facile, fin troppo. Per giunta anche le musiche sono di un convinto bolscevico : Prokof?ev. Ma Ivan Il Terribile è molto di più che un semplice film, specie nella sua magnifica sceneggiatura (Ejzensteijn crea quasi un dramma quasi shakespeariano disegnando la figura dello zar a 360 gradi: un Re Lear che riesce coraggiosamente a reagire alla scena politica, un Macbeth predestinato, un Amleto tormentato). Mai in nessun film si è vista la vita (intesa come summa delle vicende umane, sezionate nel dettaglio, quasi al microscopio) entrare così prepotentemente né mai si è dato di vedere una così tale arte nel rappresentarla filmicamente o drammaturgicamente. I dialoghi sono di una forza letteraria davvero notevole; squisitamente cinematografici il ritmo e le immagini. A permeare l'intera opera è l?attesa della congiura, quell?aria di sospetto che impregna le pareti del palazzo, che non è altro che una gabbia, e la reazione del sovrano puzza di purghe quasi staliniste. Ma, come ho detto, questa esaltazione del capo è soltanto uno dei tanti aspetti. La figura di Ivan, in alcuni atteggiamenti da uomo solo e da perseguitato, si può identificare nella vittima più che nel carnefice. La vittima è il regista stesso, costretto dal regime a forti limitazioni. Ivan è il regista e il dittatore (Stalin). Ecco perchè il film rappresenta la totalità dell?essere umano in ogni sua sfaccettatura.

La sua maestosità è da attribuire alla totale cancellazione dei dialoghi "didascalici" (a differenza di Alexandr Nevskij , dove per giunta non erano imputabili a Ejizensteijn che subì tagli e aggiunte), alla straordinaria ricostruzione storica, alla potenza visiva delle immagini, al ritmo (oltremodo drammaturgico) del montaggio, e naturalmente alla dominante presenza di Ivan. Ejizensteijn rinuncia a quel formalismo che contraddistingueva il suo primo periodo. Se il suo montaggio era ossessivo, ora diventa più funzionale alla stessa narrazione, e le assicura solennità e "ritmo".

La fantastica prova di recitazione, (volutamente) sopra le righe, obbligatoriamente teatrale, dà un evidente spessore epico a tutta la vicenda, in modo da accostarla grandiosamente a certi toni "tragici". Nessun personaggio viene tipizzato: ognuno pulsa di vita autentica. La maestria di Ejizenstein come regista sta principalmente in quella costruzione degli spazi, nella cura dei mille dettagli, ciascuno semioticamente colmo di informazioni (ogni oggetto è soprattutto una presenza, che poi si snoda in determinate funzioni simbolico-narrative), nei minuziosi rapporti volumetrici che vengono risolti magistralmente nei contrasti luci-ombre. Il tutto è finalizzato per la ricerca di uno stile forte, sublime. La continua sperimentazione di questo regista lo porta ad operare anche con il colore (in ben due sequenze), usato in maniera più espressionistica che realistica, a creare appunto ?atmosfera?. Tutte le inquadrature sono dispositivi perfetti di formale compiutezza, slanci narrativi, strategie di tensione.

Uno più grandi film della storia. Nessun dubbio nell?affermare ciò. Dopo questo film Sergej Michailovic, per il regime, non fu più un "buon" bolscevico.

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