Normalmente i commenti generali di fronte alla domanda “Ti ricordi di Sergio Caputo?” sono più o meno
- Sergio chi?
- Boh
- Ma a me questo nome non mi è nuovo.
- Bah
- Ma quale, quello di Napoli, quello da piano bar che cantava Sabato Italiano?
- Buh
- Massì, me lo ricordo, si ascoltava Sabato Italiano in continuazione, al mare, una cessa coi denti storti lo metteva sempre nel giùbòx, du palle
- Beh
- Ma poi è sparito
- Eh, sì, chissevvìstosevvìsto…
- Bih

Nell’immaginario collettivo Sergio Caputo è il tipetto slavaticcio col sorriso sghembo che ha scalato le classifiche con due brani estivi nei biechi anni ’80, dai quali secondo molti non si esce vivi o, per lo meno, dai quali si striscia fuori sanguinanti e in ginocchio, e poi si è dileguato. Per il mondo intero, non si sa perché, Sergio Caputo è quello di Napoli da piano bar, anche se è nato a Roma e non ha mai messo piede in un piano bar. Per quasi chiunque Sergio Caputo è morto artisticamente (e magari non solo, per quel che gliene importa) vent’anni fa.  E invece no. Sergio è indubbiamente vivo.

In barba a chi lo credeva meteora da giùbòx spiaggiarolo, con quell’aria un po’ triste, un po’ impertinente, un po’ così, è partito dal Folk Studio, ha solcato gli anni ’80, gli anni ’90 ed è approdato al 2000, ha sfornato dischi, fatto concerti, fondato la sua etichetta, collaborato con Dizzy Gillespie, Lester Bowie, Enrico Rava, Danilo Rea, solo per fare alcuni nomi, tutte meteore spiaggiarole come lui, evidentemente. Bene, voglio ricordare il buon Sergio(molto amato dalla sottoscritta, se non si fosse ancora capito) recensendo Swing&Soda, un cd di successi uscito nel lontano 1991. COOOSA? Recensisco una becerissima COMPILESCION??? Sì.

E la scelta non è casuale: Swing&Soda racchiude, come solo le buone raccolte sanno fare, pezzi che, nell’insieme, riescono a tratteggiare in modo esaustivo le varie anime della musica di Caputo, e ha il pregio di essere un buon modo per far avvicinare a questo musicista le persone che non hanno la fortuna di conoscerlo (perché, se non si fosse ancora capito, considero chi non lo conosce molto sfortunato). Swing&Soda è anche una raccolta abbastanza completa sebbene, non so come mai, tra i titoli non compaia Scubidù, mancanza secondo me imperdonabile.

Nelle sue canzoni Caputo saltella qua e là tra i generi; il pop di Dammi Un Po’ Di Più, lo swing di Bimba Se Sapessi, si intersecano con i ritmi latini di Italiani Mambo o Hemingway Caffè Latino o Non Bevo Più Tequila e il jazz di Spicchio Di Luna, creando una commistione di stili divertente e interessante.
Con abilità Caputo gioca con la sua natura di artista versatile, ed esattamente nello stesso modo gioca con le parole, intessendo testi colti, godibili, mai banali. Con garbo strizza l’occhio al nonsense, inventa rime e divertissement linguistici, tratta delle umane magnifiche sorti e progressive sfoderando ironia e intelligenza, infondendo leggerezza a situazioni e circostanze spesso tutt’altro che leggere; così il disperarsi per l’essere depressi e inclini alla sbevazzatura riparatoria diventa “Abito qui perché non sali/ Ho una collezione di medicinali/ E due bicchieri, gli avanzi del pranzo di ieri”, e il rimediare partners lontani anni luce dalla propria sensibilità si trasforma in “Piccoli sogni in abito blu/ ammiccano discreti/ dall'insegna di un locale mentre tu/ mi proponi discoteche inquietanti/ e amici naïf.../ Io speravo in un incontro galante/ cheek to cheek”, e le difficoltà del vivere quotidiano diventano “Come mosche della scorsa estate/ che d’inverno sono ancora qui/ e rivangano imondizie andate/ scontente della vita ma immuni al diddittì/ Come ombrelli persi alla stazione/ che si struggono di nostalgia/ derubati di utopie piovose/ di notti tempestose passate in birreria”. In questo modo ogni dramma, ogni bruttura si fanno più lievi e ci si può ridere su. 

Questo è Sergio Caputo, un mix accattivante di talento e divertimento. Provare per credere.

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