La merda non si dovrebbe mai sottovalutare, anzi bisognerebbe sempre frequentare l'obiettivo di pistarla. Per esempio l'assurdo è che se prepari la terra con un buon concime organico essa ti ripaga con delle splendide rose. Ed ecco che il cinema d'élite di fronte a lavori come questo, che attingono direttamente a esperienze reali, fa un capitombolo scorreggione con la sua estetica profumata. Per fortuna l'innalzamento di giustificazioni consolatorie, con gente come Sergio Citti, non c'e pericolo che venga proposto.
E intuiamo, da romanacci de Roma di quello che siamo, che l'amico Pier Paolo abbia frequentato borgate e sobborghi (per non dire le baraccopoli delle periferie dell'Urbe) per cercare di acquisire, se non altro per osmosi, l'immediatezza nel cogliere il momento di verità che si presenta sempre secco, feroce, cinico, spietato e staziona per lo più al Tuscolano. E i piagnistei che noi tutti rincorriamo vengono schiacciati senza considerazione, e gli specchi, dove ci diciamo quanto siamo belli e bravi e tutti gli altri sono stronzi, infranti senza pietà.
"Nun se stamo a raccontà fregnacce", distaccamento comunica Citti, qua il cinema non è rappresentazione, non è riflesso del passato, qua si sta su storie vere non filtrate da aggiustamenti di accettazione e senza aspettare consensi. Ed infatti l'estraniamento è la moneta di scambio per una comunicazione finalmente libera da preconcetti. Ma insomma, una persona che si reincarna per l'ennesima rottura di coglioni, ed è consapevole di questo, vuoi che frequenti ancora i passi falsi dell'ego? Nooo... Magari lo troviamo ad arricchire il suo bagaglio di barbonismo millenario frugando nel secchio della spazzatura della coscienza collettiva. Il minestrone che viene fuori ha un retrogusto amaro di calci in culo che ti meriti non avendo considerato che l'inaspettato dimora su storie che apparentemente non hanno né capo né coda. Ma senza l'inaspettato non c'è evoluzione.
Santi cazzoni si rivelano i protagonisti, il "trio monnezza", asse Roma-Berlino-Parigi per satirizzare le storielle intorno a "c'è un italiano, un tedesco, un francese"... E i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre in borgata si trasfigurano in "Er fialetta, Er marana, Er tombino", per una compenetrazione indicizzata alla futura inflazione di cemento armato della periferia romana. Siamo protagonisti, insieme a quei tre "scemi", di un nonsense vitale.
La novella comincia bene col "Circo della Mosca" dove i protagonisti quasi invocano la punizione di chi, senza calcoli, butta lì una presa in giro della creazione. L'esser corcati di botte ad ogni occasione scarica a terra la presunzione di essersi sostituiti all'illusione: il messaggio di pace naufraga inevitabilmente sul consumo voluto dagli spettatori, gli spettatori vogliono il sangue, non il miele. Il fuggi fuggi è alquanto opportuno, che bestie...
E si girovaga cercando interrogativi a stomaco vuoto e si viene "ortaggiati", si sfida inconsapevolmente l'autorità e si ha più fame di prima che provoca miraggi, appaiono dal nulla tre cammelli... La situazione inizia ad evolvere mistica: "i Re Magi devono essere esotici, devono venire da lontano", ma "i veri Re Magi sono grandi, grossi... e menano", lividi più mistici di così non si può. Poi c'è l'orrore puro: "Una carneficina! I Re Magi se le stanno a fa' tutte". Pietre al collo, millantati e condannati: "C'hanno trombate Padre. Tutte? Si tutte! Castrateli! Si va bene, dopo il Presepe." Ahahahah! Questo è l'onirico giusto! La pragmaticità esoterica di Padre Gastone Moschin galleggia in un magone esistenziale.
Altro che quello sbracamento imbellettato di sogni provocati da cattive digestioni che si nascondono sotto sigilli di blasoni sterili che prendono nomi federici, michelangioleschi, luchineschi, eccetera eccetera. E Pasolini che si salva in calcio d'angolo con quel Salò, per il rotto della cuffia che gli costa la pellaccia. Ma Sergio non è violento come il friulano, non ne ha bisogno perchè quando uno è di Roma, è di Roma, è di Roma, è di Roma! Citti surclassatore atemporale che ti fa il culo come un secchio e tu te ne accorgi dopo mille anni e che svogliatamente usa il mezzo (limitatissimo) cinematografico per dimostrarti quasi per sbaglio dove vanno a finire le pose che ci possiedono.
E mi trova più consono un Nando Cicero, e ci si trova più pappa e ciccia con un Greenaway e la sua "panza dell'architetto". "E allora viva l'amore" diceva quello nato a Isola Liri. E "metà faccio io che metà fa Dio" che la cometa trasporta un sogno di erezioni trascendentali. E i fumi che poi tira fuori il regista è un'Epifania irripetibile: "Lei è proprio Lei? Il Padreterno? Eeh si. In carne ed ossa? Perchè mi vedete dimagrito?" Il film poi (de)raglia in lande somare dove la "buona novella" è un delirio demografico randagio accompagnato dalle musiche di un Ennio Morricone in straforma.
"Ma poi verrà via questo nero dalla faccia?" Speriamo di no...
Carico i commenti... con calma