Andare a vedere il caro Sergino Tankian all'Auditorium Parco della Musica è stato come ritrovare un vecchio amico che ha cambiato giro: c'è la curiosità di sapere come se la passa, quali siano le sue nuove frequentazioni musicali, e - soprattutto - vedere come se la cava nei nuovi ambiti che ha scelto. Dirigendomi all'auditorium romano di renzopianesca fattura, sito in quel dei Parioli, la mia eccitazione pre-concerto era appena screziata da un certo non so ché di timore riguardo al risultato di questo ennesimo esperimento sinfonico. Non è mai facile accostare sonorità orchestrali al rock, soprattutto a quello di stampo più o meno metallaro. Ci provarono già i Metallica una decina di anni fa, ma il risultato non fu dei più felici, forse perché gli ibridi partoriti da basso/chitarra/batteria più l'orchestra dietro non andavano da nessuna parte.

La Cavea dell'auditorium è uno spazio semi ellittico che si rifà alla tradizione greco romana, ma riletta in forme contemporanee. Personalmente mi piace l'Auditorium, anche se aggirandomi per i suoi corridoi a volte ho avuto la peculiare sensazione di trovarmi in un gigantesco parrocchione, forse per via dei mattonati ocra che lo rivestono, o per l'architettura contemporanea che nella seconda metà del novecento non ha risparmiato nemmeno le chiese. Comunque, seduti là sotto, i tre enormi gusci delle sale incombevano su di noi like immense spaceships nella piacevole sera estiva. Serj deve avere avuto abbastanza successo con il suo album solista (che risale ormai a tre anni fa, n.d.r.) a giudicare dall'affluenza del pubblico, che a ridosso dell'inizio sarà stato di duemila-duemilacinquecento persone. Previsto per le nove, c'è voluto un bel po' di incoraggiamento dalle gradinate della cavea ("Ser-gio-Ser-gio"), ma alle nove e un quarto le luci si sono abbassate e cinque minuti dopo gli applausi del pubblico hanno accolto la quarantina di musicisti dell'Orchestra Filarmonica Italiana, più pianoforte e chitarra acustica.

Per ultimo, eccolo, di bianco vestito, il buon Serj Tankian che cede il passo al direttore d'orchestra e poi sale sul palco salutandoci con un sorriso. L'orchestra attacca con "Feed Us" (che guarda caso, su "Elect the Dead" è la mia preferita). Segue il reading di "Borders", che credo sia una delle sue poesie, nella fattispecie sui confini che le diverse culture impongono all'uomo. Durante l'esecuzione di "Sky is Over" si conferma l'impressione che la voce di Serj è assolutamente padrona della situazione e che non è un caso la scelta di arrangiamenti sinfonico-lirici. Il bello è però là da venire, e infatti ecco "Money" e "Baby", le cui linee melodiche sono valorizzate al meglio da archi e chitarra acustica. Serj si trova molto a suo agio sul palco, ed è decisamente in serata: la sincronia tra il flusso sonoro dell'orchestra e i suoi movimenti è perfetta, a tratti sembra volare beato sulle note da lui composte. A quanto pare le canzoni aggiunte su "Elect the Dead Symphony" sono state partorite assieme all'orchestra, se "Blue" e la bellissima "Gate 21" (l'unico pezzo in cui Serj si è seduto al pianoforte) sono state l'apice di resa emozionale della serata.

Non ho mai visto i System of A Down dal vivo, ma Serj da solo è veramente istrionico: interagisce con il pubblico e presenta più volte i musicisti dell'orchestra, e si cimenta pure con l'italiano ("Buonasera, bellissima Italia..") riuscendo da subito a creare un'atmosfera intima, quasi magica. "Peace Be Revenged" e "Charades", altri pezzi inclusi in "Elect the Dead Symphony", cominciano a valorizzare di più una certa epicità negli arrangiamenti, che tocca il suo picco con il tripudio di fiati e tamburi di "Saving Us". C'è anche lo spazio per un inedito ("Disowned", che mi è parso da subito molto bello). A un certo punto Serj si gira, e da le spalle al pubblico. "Excusi!.." ci dice mentre confabula con il direttore d'orchestra e con alcuni musicisti. Ci stavamo chiedendo se fossero indicazioni su cambi di tonalità in chiavi minori o cose del genere, ma ecco che il primo violinista sussurra qualcosa di inequivocabile. L'ennesima lezione di italiano pratico di Serj svela l'arcano: "Questa canzone in italiano si chiama la figa di Beethoven.." Boato dalla cavea.

Quando sembra che il concerto stia per chiudersi e Serj elenca i crediti della serata, omaggiando il pubblico con complimenti in italiano (ahò.. gli piace..) poi fa per andarsene, ma non ci crede nessuno: gli strumentisti restano al posto loro, tradendo il vecchio trucco da star (falli rientrare, 40 elementi d'orchestra!..) e dalla cavea siamo ancora più invogliati a richiamare a gran voce Serj sul palco. Tempo un minuto ed eccolo ricomparire sul palco per esibirsi in quella che fin lì era stata la grande assente della serata: "Empty Walls". E' il gran finale, e ci invita ad alzarci dai nostri sedili e raggiungerlo sotto al palco. Stringe le mani e saluta il pubblico che si accalca caloroso. Qualcuno gli allunga una bandiera armena, e alla fine il folletto bianco che ci ha magistralmente intrattenuto per un'ora e un quarto ci saluta e saltella via ancora più sorridente di quando è entrato. Ne ha di personalità, così come questo suo progetto così diverso dalle sonorità crossover/thrash metal dei System. I timori che avevo all'inizio della serata si sono rivelati infondati: Serj ha giustamente puntato su un assetto completamente orchestrale delle canzoni, aggiungendo soltanto pianoforte e chitarra. Il pizzico in più è quell'atteggiamento vagamente lirico che ben si addice alla bella voce di Tankian. E l'esperimento è a parer mio riuscito, anche se in queste vesti è difficile ricreare la "botta" che dà il disco in versione elettrica. Forse però, a conti fatti, l'obiettivo non è quello.

Sergino! Tornerà mai a suonare con i System of A Down? A giudicare da quel che ho visto e sentito ier sera, non credo. A meno di penose reunion fuori luogo come quelle che vanno tanto in voga di recente. Il fatto è che sta prendendo strade molto diverse, troppo diverse, e avendo constatato quale personalità giocosa e carismatica Serj abbia, non fatico a immaginare che forse è proprio quella l'origine della separazione dai System. Dura competere musicalmente con uno così, da un lato, e dall'altro ancora più dura dover restare confinati nei soliti quattro accordi già suonati quando senti invece il bisogno di crescere e sperimentare.

 

Setlist:

 

Feed Us

Borders (reading)

Sky is Over

Lie lie lie

Money

Baby

Blue

Gate 21

Peace be revenged

The Charade

Honking Antelope

Saving Us

Disowned

Elect the Dead

Falling Stars

Beethoven's Cunt

Empty Walls

 

(Foto di Beatrice Fiaschi)

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