Non ho mai condiviso l'estatica adorazione di massa verso i prodotti d'animazione di Seth MacFarlane. I Griffin sono una copia dei Simpson tanto pallida quanto spudorata che ha faticosamente cercato di trovare una propria autonomia espressiva nell'accentuazione ad oltranza di due o tre elementi (la cattiveria dissacrante, la continua rievocazione di aneddoti, la citazione di celebrità...) che erano già presenti nel ben più raffinato prototipo. Ne è uscito fuori un serial a cartoni animati che sembra creato apposta per i tempi in cui viviamo, con la sua volgarità smodata, il cinismo senza ragione, l'andamento frammentario (perfetto per la condivisione su Youtube) fatto di gag perfettamente autoconclusive innestate su una trama di fondo irrilevante.

Dopo aver munto fino allo stremo la vacca del manierismo simpsoniano in altre serie televisive tanto vacue e inconsistenti quanto osannate dal pubblico, adesso MacFarlane ha giocato la carta del cinema in veste di regista, sceneggiatore e (come sempre) doppiatore. Ovviamente, l'idea di cambiare il proprio fortunatissimo stile non l'ha sfiorato nemmeno un po', e quindi non ha fatto altro che girare una specie di lungo episodio “in carne ed ossa” di uno dei suoi serial televisivi, dove su un traliccio narrativo perfino offensivo per conformismo e prevedibilità (la solita storia dell'eterno immaturo che si rifiuta di crescere e di impegnarsi...) si innestano le ormai famose gag alla Griffin. La novità è che, dovendo rinunciare per forza di cose a quella cattiveria estrema, sgraziata e volgare che se non altro rendeva i Griffin riconoscibili, Ted dimostra una desolante inconsistenza non solo a livello narrativo ma anche sul piano prettamente comico. Non che non si rida, durante la visione, ma sono risate vacue e inconsistenti da film di Neri Parenti, di cui ci si dimentica non appena ci si alza dalla poltroncina, tanto è prevedibile, visto e stravisto il meccanismo comico. Nel 2012 dobbiamo ancora morire dal ridere per roba da sitcom come il flash-back rievocato in versioni opposte o la scazzottata paradossale? Possibile che basti menzionare baggianate d'attualità come Twitter o le stecche di Katy Perry per scatenare immediatamente gli sghignazzi? Per tacere della milionesima ripetizione – ormai marchio di fabbrica dell'autore – del personaggio che fa cose in contrasto col proprio aspetto innocente (qua era Ted, là era Stewie). Anche basta, per carità.

Ci si chiede come sia possibile il plauso unanime riscosso da personaggi come MacFarlane, anche a fronte di risultati tanto platealmente scarsi. E qui la spiegazione può essere solo sociologica: è evidente che il ragazzo ha azzeccato una formula capace in qualche modo di entrare in sintonia con le giovani generazioni dei nostri tempi. Una patina di sgargiante cattiveria, qualche innocua bizzarria, la coolness assicurata dalla puntuale citazione di qualche avvenimento di stretta attualità, palate di volgarità e di riferimenti sessuali innestati su una trama sentimentale la cui banalità farebbe vergognare anche Garry Marshall ed eccovi pronto il genio comico degli anni duemila(dieci).

Desolante.

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