I Sevendust amano quello che fanno da ormai ventisei anni e l’hanno dimostrato con tredici album (a breve saranno quattordici) venduti in migliaia di copie in tutto il mondo, centinaia di date live e decine di collaborazioni.
Hanno cambiato tre volte il loro nome (rischiando di dover risarcire uno degli omonimi), sono finiti in bancarotta nel 2006 per il fallimento della WineDark Records (che li lasciò senza un dollaro e in mezzo a una strada) ma si sono rialzati e ripresi a suon di successi e certificazioni dorate.
Lajon Whitherspoon è l’anima del gruppo e non solo per questo motivo è definito “soul metal”; prima di approcciarsi al metal (passando anche per il funk, seppur in giovane età), infatti, è stato il frontman dei "Body & Soul" e durante un concerto a supporto degli "Snake Nation", una famosa rock band locale, Whitherspoon si è fatto notare dai membri fondatori dei Sevendust Vince Hornsby (basso), Morgan Rose (batteria) e John Connolly (chitarra ritmica). I tre rimasero stregati da quella voce, a tal punto da pretendere che Lajon si unisse subito a loro, poco prima che arrivasse anche il chitarrista Clint Lowery.
Il frontman dei Sevendust si trova al trentacinquesimo posto della "Top 100 Metal Vocalists of All Time". Il suo timbro culla e scuote, tra melodia e ruggiti e da un’impronta unica ed inimitabile al sound della band della Georgia. I Sevendust hanno cambiato ben poco tra le loro fila in quasi tre decadi (a parte un dentro e fuori di Clint Lowery, sostituito nei tre anni di assenza da Sonny Mayo). Morgan Rose, il batterista, è un frontman aggiunto e non solo per il fatto che con i suoi vocalizzi affianchi attivamente Lajon. Rose è carismatico e trascinatore e lo dimostra durante ogni live, dimostrando di essere una figura imprescindibile nell’economia della band. Con Clint Lowery ha fondato il progetto parallelo "Call Me No One", che ha rilasciato un unico album “Last Parade”, prima di chiudere i battenti. John Connolly e Vinnie Hornsby, con la collaborazione di Scott Phillips (batterista degli Alter Bridge e dei Creed) ed Eric Friedman (chitarrista dei Tremonti Project), hanno creato i "Projected", superband molto interessante, già al secondo album in studio.
A tre anni dall’ultimo lavoro “Blood & Stone”, pubblicato in piena pandemia e dopo la riedizione del primo fortunato album omonimo “Sevendust”, arriva il singolo inedito “Fence”, che annuncia l’uscita del nuovo album “Truth Killer”, previsto per il 28 luglio di quest’anno.
“Fence” è la classica boccata d’aria carica d’ossigeno per i fan di vecchia data, perché racchiude le tipiche sonorità old school dei cinque di Atlanta. Non si tratta di effetto nostalgia, piuttosto di un ritorno a un po’ di sana cattiveria alla vecchia maniera, dopo due album farciti di tanta melodia e poca fantasia, anestetizzate dallo spettro del loop.
Nei tre minuti e mezzo serrati ci sono quindi tante aspettative, che in quest’occasione sono tutt’altro che disattese.
Il testo racchiude molta amarezza e risentimento verso un passato che ci rimarrà addosso anche in futuro.
“Collect the blood until it's empty
Bury the truth until it's way too late to use”
E la consapevolezza di aver toccato talmente tanto il fondo, da averlo fatto alzare mentre stavamo risalendo:
“Been down so long that the bottoms up”
La voce di Lajon graffia e incattivisce e se chiudessimo gli occhi, potremmo rivederlo a petto nudo, con i lunghi dreadlocks durante uno scatenato headbanging alla vecchia maniera. Il video è d'effetto e in chiave live mostra i singoli elementi della band riprodotti fedelmente e in modo caricaturiale con il pongo.
Storicamente, a pezzi molto dolci ed introspettivi come la splendida ballata “Angel’s Son” (tratta dal secondo album in studio “Animosity"), “Thank You” (che ha ricevuto una nomination ai Grammy Awards nel 2016), oppure "Hurt" (cover dei NIN dedicata a Johnny Cash), tra le altre, si alternano episodi molto graffianti ed introspettivi, che mettono a nudo la doppia anima della band. I contenuti e le sonorità di “Fence” sono immediatamente riconducibili a pezzi come “Praise”, “Denial” e “Black”, perennemente presenti nelle scalette di ogni live.
Anche se dopo quasi trent’anni e una serrata attività discografica, l’imprevedibilità e la freschezza sono un po’ venute meno, quest’ultimo singolo ci ricorda che nulla è mai perduto. Nell’attesa che il nuovo imminente album rafforzi questa piacevole teoria.
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