L'album di cui vi parlo oggi, gente, è una chicca per veri intenditori: sfido chiunque a postarmi "questo ce l'ho anch'io!" (cosa che fra l'altro mi farebbe enorme piacere, dato che mai - dico mai - ho avuto notizia di qualcuno che ne fosse in possesso... tanto che temo quasi di esserne l'unico detentore in Italia!).
"Dream of Lilith" esce nel 1995 ed è il primo e (se non erro) l'unico lavoro degli Shadowseeds, duo svedese dedito ad una musica di difficile catalogazione. Wikipedia parla di "dark wave / esoterical musical project", definizione a mio parere imprecisa e decisamente fuorviante per l'ignaro interessato. Ma su Wikipedia scopro, a dodici anni dall'acquisto, che dietro ai misteriosi nomi di Daemon Kaighal e Daemon Deggial si nascondono Tommy Eriksson e Thomas Karlsson, che non è altro che il paroliere dei ben più noti Therion.
E in effetti, a pensarci bene: chi altro poteva partorire titoli come "Thy Shrouded Wings (A'arab Zaraq)" e "Dreaming Ecstasy (Gha'agsheblah)"?
"Dream of Lilith" è l'estrinsecazione artistica del pensiero e della filosofia che ispirano ed animano il più o meno noto Dragon Rouge, ordine nordico (con gruppi operativi sparsi un po' in tutto il mondo) che ha come scopo la condivisione di conoscenze ed esperienze legate alla pratica dell'Occulto (se avete voglia di approfondire il discorso vi consiglio di dare un'occhiata al sito http://www.dragonrouge.net, dove potrete trovare una esauriente e chiara sezione in italiano, soddisfare ogni curiosità ed addirittura trovare il modo per potervi aderire!).
Da un punto di vista strettamente musicale, gli Shadowseeds ci ipnotizzano con un metal oscuro estremamente originale che davvero non trova punti di contatto con branche e sottobranche che il genere mette a disposizione: alla fine dell'ascolto non si avrà ben capito se quello che si è ascoltato è black metal, gothic o industrial esoterico.
Chitarre marce, riff ossessivi, tempi generalmente moderati, qualche spennellata di synth ad ingrigire il tutto ed un oscuro recitato che ci introduce nell'affascinante mondo del Drago Rosso: questi, in breve, gli ingredienti della ricetta dei Semi delle Tenebre.
Beninteso, lontani dalla musica più puramente rituale, gli Shadowseeds rimangono fortemente ancorati al pragmatismo della grammatica metal, dove a dialogare sono le soluzioni di batteria e chitarra: la prima che batte i tempi al metronomo (quasi viene il dubbio che si tratti di una drum-machine) e la seconda, scarna ed essenziale, che sciorina temi su temi.
Le sporadiche accelerazioni e riff zanzarosi ci riconducono talvolta dalle parti di un gelido black metal di metà anni novanta, ma è chiaro che gli Shadowseeds, per quanto fisici, materiali, razionali, puntano in realtà alla mente, al sommerso del nostro inconscio, al lato oscuro della nostra psiche.
Un'esperienza mistica, potremmo definirla, se il lavoro chirurgico delle chitarre e i continui cambi di tempo non ci riportassero regolarmente su questo mondo.
La voce, vera peculiarità degli Shadowseeds, è un eco arcano e minaccioso che si smaterializza in corridoi ammuffiti e polverosi, colmi di cataste di libri, ampolle di vetro e tavoli a tre piedi.
Fra i toni di un teatro inquisitorio, oscuri sermoni e il dotto sillabare di letture filosofeggianti, Karlsson ed Eriksson ci conducono in stanze buie, scale a chiocciola, sotterranei fatiscenti dove si compiono esperienze alchemiche, riti d'iniziazione, studi di scienze misteriose e dottrine dell'Occulto.
Dove gli adepti si riuniscono, si consultano, stringono patti di sangue. Tira aria di massoneria, se non s'è capito: formule misteriose, messaggi criptici, simboli incomprensibili se non da chi ha i codici e le conoscenze per decifrarli.
Gli "Eleven Shadowseeds of Kliffoth" si articolano in poco più di cinquanta minuti: un lasso di tempo ragionevole in cui i due polistrumentisti, pur nella loro ossessionante coerenza stilistica, non riescono ad annoiare, bensì a mantenersi (salvo qualche lieve cedimento nel finale) sempre e comunque sulla cresta dell'onda.
E proprio con imperturbabile oscillare delle onde, prontamente interrotto dall'incedere marziale della batteria e da un riff surreale ed evocativo, si apre il rito degli Shadowseeds: "The womb of darkness, is your open Eye, the gate to the Force is the Dream of Lilith" recita la title-track, invitando l'ascoltatore a cercarsi un varco nell'oscurità, unica custode e detentrice del Sapere.
"Kalis Moon (Gamaliel)" si abbandona interamente ai loop industriali, ai suoni ammalianti di un sitar indiano e agli squarci sonici di un'elettronica allucinante che vanno a comporre un rituale di quasi otto minuti capace di generare visioni sfocate e porre le condizioni per un transfert psichico: due mani oscure vi massaggeranno suadenti spalle e tempie affinché il passo trascendentale si compia definitivamente.
"The Hidden God (Gamaliel)" è forse l'episodio più abbordabile: merito senz'altro dell'attitudine teatrale del canto (che richiama i toni altezzosi di professori infuriati che alzano ammonenti il dito al cielo!).
A completare il quadro: avvolgenti fughe di tastiera e scoppiettanti controtempi, via via supportati dal battito solenne delle percussioni a mano.
"Thy Shrouded Wings (A'rab Zaraq)" parte violentissima: aperta da un blast-beat di chiara matrice black metal, si convertirà in una coinvolgente cavalcata gotica, per poi rianimarsi in tempi medievaleggianti che non avrebbero affatto stonato in un album come "The Shadowthrone" dei Satyricon (le cui atmosfere, a mio parere, emergeranno in più di un frangente).
Si apprezza, per l'occasione, l'impiego maggiormente melodico della voce, la quale si rivela vagamente tributaria dei vocalizzi baritonali di Pete Steele dei Type 0 Negative.
Insomma: si sarà capito che spiegarvi questa musica non è affatto semplice!
"Lion-Serpent Sun (Thagirion)" prosegue lungo le stesse coordinate, ma senza tediare (e sarà un vero piacere per i fan dei Therion udire, incalzate da massicci tempi medi, frasi come "Night of Pan in the Desert of Set", a formula of might to interpret").
Intelligente e ben dosato, in genere, l'utilizzo delle tastiere e degli effetti, mai invadenti e sempre pronti ad evidenziare i passaggi più significativi e volti a sigillare in un involucro mistico le composizioni, pur sempre sottostanti alle ferree leggi del metallo.
"Baptized in Blood (Golachab)" si candida come pezzo migliore del lotto: aperta da un arpeggio di chitarra classica ed ariose orchestrazioni, proporrà, fra pieni e vuoti, l'essenza dell'arte degli Shadowseeds: prendere 5 o 6 partiture e ripeterle più e più volte in una sorta di loop ipnotico senza fine capace di generare stordimento e straniamento nell'ascoltatore, indifeso, vulnerabile, assolutamente in balia dei repentini cambi di tempo e di umori.
In "Dreaming Ecstasy (Gha'agsheblah)" fa finalmente capolino una voce femminile: chiamata a squarciare la coltre nera dei sai di cuoio dei templari, verrà però subitaneamente respinta, rificcata giù con forza ed affogata negli aspri toni inquisitori.
"Dark Night of the Soul (Satariel)" recupera gli umori etnici di "Kalis Moon": ritmi tribali, percussioni a mano e gli svolazzi eterei di Petra Aho per una suggestiva parentesi atmosferica atta ad interrompere l'asfissia metallica imperante.
In "Daemon est Deus Inversus (Ghagiel)" (ma in latino, est non dovrebbe schizzare in fondo alla frase?...misteri dell'occulto!) s'inizia, in verità, a percepire la stanchezza fisiologica legata alla reiterazione di una formula stra-abusata: l'uniformità delle atmosfere, senz'altro indispensabile per coronare gli intenti concettuali dell'opera, non poteva che finire con lo zavorrare di eccessiva ridondanza lo scorcio finale del lavoro.
A chiudere finalmente le danze, le due parti ("The Eye of Shiva" e "The Black Diamond") di "Shadowseeds (Thaumiel)", le quali stemperano il fragore delle chitarre e il martellare delle percussioni nell'inquieta astrazione di sconnessi fraseggi rumoristici e voci distorte che vanno a scandire formule misteriose.
Sarà un bel casino trovarlo, gente! Spero però che scaricarlo almeno sarà possibile, poiché qualcuno ne potrebbe gioire per davvero.
Consigliato agli aspiranti adepti del Drago Rosso!
All'kebab'aki-kai'kutuzov-kabaret-b'har'ba'p-ha-pah'inkul'att'umah!
(Quest'ultima l'ho scazzata.)
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