Shakira lascia passare quattro anni prima di proporci il suo nuovo lavoro, il quale lascia un po' l'amaro in bocca a causa della brevità (9 canzoni inedite e 3 versioni in spagnolo). Stavolta, memore degli episodi fortunati di "Hips don't lie" e "Beautiful Liar" che hanno saputo catapultarla nel mercato nordamericano, la cantante di origini colombiane si avvale di uno staff di produttori e autori variegato, da Wyclef Jean, col quale ha già collaborato, a Sam Endicott dei The Bravery, senza dimenticare il celebre Pharrel Williams dei Neptunes.

Purtroppo, sono proprio i quattro brani scritti insieme a Williams a rappresentare il vero punto debole dell'album dal punto di vista prettamente musicale. Williams offre infatti il suo solito sound, utilizzato in precedenza da altre cantanti tra cui Gwen Stefani. Un sound di forte matrice r&b e arricchito con vari orpelli (non propriamente influenze, ma pure decorazioni fini a se stesse). L'album è così appesantito da quattro canzoni piuttosto impersonali, che poco hanno a che vedere con lo stile di Shakira. A parte "Did It Again", vagamente malinconica e sorretta da percussioni che imitano una specie di marcetta militare, abbiamo poi  "Long Time", il cui ritmo richiama da vicino "Rich Girl" di Gwen Stefani e "Why Wait", il punto più basso dell'album con la sua elettronica striminzita (l'intro ricorda molto la becera "Gimme More" di Britney Spears), le percussioni fintotribali e le sonorità orientaleggianti inserite a casaccio. Insomma, un brano decisamente kitsch che però viene presto dimenticato in favore del successivo "Good Stuff", un vero e proprio minestrone di suoni, in cui figura persino uno xilofono da marimba, ma che si avvale di una melodia più riuscita.

Concluso questo blocco di canzoni firmate da Williams, si respira finalmente aria fresca e l'album decolla felicemente, incuriosendo di nuovo l'ascoltatore come già era avvenuto per il brano iniziale, "She Wolf", intriso di disco anni 70 e arricchito da un sound sporco e bizzarro. "Men in This Town" si spoglia di ogni influenza r&b e si presenta come un brano dance fortemente elettronico. Una vera e propria ventata di aria fresca dopo quattro canzoni sì orecchiabili, ma artefatte. Abbandonati i toni da femme fatale di "She Wolf" (diciamolo pure, ormai le fatalone non fanno più notizia) , segue "Gypsy", una canzone molto solare e colorata, che si avvale di soli strumenti acustici, tra cui anche un banjo. "Spy", cantata insieme a Wyclef Jean, invece, riprende i ritmi anni '70 della title track, inserendo senza strafare influenze puramente black. Concludiamo poi con "Mon Amour", brano convincente dall'ascendenza pop-rock che chiude degnamente l'album. Ci sarebbero poi le versioni in spagnolo di "She Wolf", "Did It Again" e "Why Wait", di cui segnalo solo "La Loba", migliore dell'originale in inglese in virtù della maggiore scorrevolezza che la lingua spagnolo fornisce alla melodia.

Per concludere, dopo quattro anni ci aspettavamo qualcosina di più da Shakira, artista sì main-stream, ma che si è saputa rivelare anche interessante e ingegnosa nei suoi precedenti lavori, ricchi di molteplici influenze ed invenzioni musicali. Speriamo che l'album spagnolo che dovrebbe seguire questo "She Wolf" non sia un lavoro a sé stante ma che lo completi, dal momento che solo nove canzoni non soddisfano appieno. Avrebbe potuto inserire qualche brano in più, magari un paio di ballate, della cui assenza si sente la mancanza. 

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