Shaman - "Ritual" 2002
All’aria aperto nel giardino di casa. Sono le sette e mezza di sera, c’è una temperatura meravigliosa: quei paradisiaci 25 gradi, ma il sole sta calando dietro le montagne. Realizzo, guardandolo scomparire, che l’estate se ne sta andando assieme a tutti i buoni propositi regolarmente andati a puttane. Settembre è un mese meraviglioso per il tempo solitamente stabile, è un tripudio di colori, le giornate sono ancora abbastanza lunghe, non fa freddo, non si suda a stare fermi. Ma al contempo è tristissimo perché sei cosciente che è il colpo di coda e le prossime ferie estive sono lontane 330 giorni. E’ un po’ come la domenica sera: per quanto bella viene rovinata dal solo pensiero del lunedì mattina. Settembre è una bella ragazza, bastarda e ingannatrice. Non riesci a godertelo in pieno perché nella nostra umana coglionaggine pensiamo ai maglioni, alla neve, alla mancanza di luce, al ritorno a pieno regime al lavoro/scuola. E’ l’inizio della fine di un rapporto: per le menate femminili verrà procrastinato per mesi e appare relativamente lontano, ma arriverà. E' certo. Sì, ora che le montagne il sole se lo sono proprio inghiottito e digerito e che il cielo rutta fuoco, mentre scrivo e guardo il panorama con il vento in faccia mi sento ufficialmente triste entro in stube e prendo con lentezza un cd dal mio scaffale. Lettera S e si parte…
Sembra di essere al teatro quando la strumentale “Ancient Winds” fa il suo ingresso in un crescendo che lancia il singolo dopo 3 minuti di riuscita attesa. No, tranquilli un track by track non è nel mio stile. Quello che mi basta sottolineare è che il cd di debutto dei brasileri Shaman ("Ritual") riesce a differenziarsi dalla massa del metal/rock/prog che va per la maggiore. In certi punti, non lo nego, il disco mostra i muscoli con tanto di up tempo ed assoli veloci del duo Mariutti/Confessori (Here I Am e la conclusiva Pride su tutte) ma non sono che temporali estivi. "Ritual" è un cd tutto sommato grigio, intrigante, riflessivo ed amaro: proprio come la bella fine dell’estate. Un tramonto pensando alla notte in arrivo. Sarà che è frutto della dolorosa separazione con gli Angra, tutt’altro che pacifica, dopo 10 anni di successi, sarà che tratta con nostalgia la figura emblematica, affascinante e sfuggente degli anziani sciamani ripercorrendo un tempo in cui la saggezza popolare valeva. Quello che conta è che spesso si procede in punta di piedi con crescendo arzigogolati per arrivare con lentezza al ritornello; sono numerosi i break ed i cambi di ritmo che costellano il lavoro. Ma anche quando la melodia principale del pezzo, la spina dorsale, si palesa gli Shaman giocano spesso d’attesa, mescolano le carte con inserti malinconici di piano, riff abrasivi pregni di rimpianto e rabbia. Orchestrazioni e richiami etnici che rimandano agli esordi degli Angra. E’ questa la storia di song lunghe e complesse, capaci di saziare un apparato uditivo ben allenato, come "Distant Thunder" o "For Tomorrow". Un gocciolare lento, ma continuo, evocato dal piacevole pizzicare dei tasti del piano, viene sapientemente rotto dal riffing nella cavalcata “Time Will Come” dai richiami folcloristici. Magia shamana nella controversa e originale "Over Your Head", mentre nell’ecclesiastica, volutamente ripetitiva e triste “Fairy Tale” Matos mette in mostra sotto un immenso l’occhio di bue la sua voce. Un controllo delle corde vocali impressionante, che mi fa drizzare i peli delle braccia ogni volta che l’ascolto.
Basta, non ho nemmeno voglia di continuare nell‘ascolto. Questo era per me l’apice del disco. Inutile proseguire. Mi è salito un magone sufficiente; penso con rimpianto agli errori commessi negli ultimi tempi. Prendo il pc in braccio e mentre l’aria si fa frizzante e fresca salgo le scale per arrivare in camera. La luce del sole se n’è già andata. L’estate è davvero finita.
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