IL PROGETTO MOM. Nel cinema di fantascienza si spendono spesso (non sempre per fortuna) inutilmente un sacco di soldi per produrre dei kolossal che alla fine risultano delle volte persino noiosi oppure ridondanti o che in ogni caso alla fine sono dimenticabili. Costituiscono un fenomeno mediatico del momento. 'The Gravity', 'Interstellar', 'The Martian'. All'uscita di questi film e per tutto il periodo antecedente e successivo, tutti ne hanno parlato un sacco e celebrando ciascuno di questi come quello della rinascita del genere e ogni volta come il nuovo e il solito (perché solitamente e oltremodo sempre menzionato) '2001: Odissea nello spazio'. Diciamo che da un certo punto di vista questa cosa è l'effetto di un fenomeno pubblicitario di alto profilo e che in quanto tale coinvolge tutti, anche chi non ne sia affatto interessato oppure chi in genere del cinema di fantascienza se ne frega. Parliamo di produzioni milionarie e di una disponibilità di mezzi praticamente illimitata. Un annetto fa rimasi colpito dal fatto che il programma spaziale indiano abbia spedito una navetta, un satellite in orbita su Marte spendendo nella pratica circa 25 milioni di dollari meno che quello che sarebbe costato, 'The Gravity' di Alfonso Cuaron. Un dato che farà sicuramente gridare allo scandalo quelli che sono contro Hollywood e le spese milionarie nel mondo del cinema, ma che al solito andrebbe considerato anche per quelli che poi sarebbero stati i ricavi finanziari e economici. Parliamo, nei tre casi menzionati, di film che hanno sbancato al botteghino e che in quel determinato momento hanno costituito un investimento più che positivo per i produttori cinematografici.
Ma come relazionare questo cinema con quello che è invece l'interesse generale alla scienza. Voglio dire, il fatto che il progetto MOM (Mars Orbiter Mission) sia stato messo in orbita su Marte (gli indiani sono i primi a farlo dopo gli USA, l'Unione Sovietica e l'UE e prima della Cina) con una spesa inferiore a quella per la produzione del film 'The Gravity' fa riflettere per forza: che effetto hanno questi film oltre quello di intrattenere la gente? Questo lo dico perché ad esempio in occasione dell'uscita di 'The Martian' si è parlato un sacco di quanto questo film avrebbe rilanciato l'interesse per lo spazio e l'aeronautica spaziale, l'esplorazione di altri pianeti e in particolare del pianeta rosso. Ma questa è chiaramente una cazzata. Da questo punto di vista, restando in Italia, ha fatto molto di più la presenza di Samantha Cristoforetti sulla stazione spaziale: un modello veramente positivo. Qualche cosa di vero e cui tutti abbiamo guardato con la giusta simpatia e ammirazione. Ma non direi proprio che sia accaduto lo stesso per 'The Martian'. Anzi, se pensate agli annunci della NASA sulle ultime scoperte sul pianeta rosso e divulgate proprio alla vigilia dell'uscita del film, forse possiamo dire che sia successo il contrario. Cioè che la scienza abbia prestato ausilio e sia stata di sostegno al lancio del film.
La questione quindi è se abbia senso parlare di un cinema di fantascienza nel senso vero della parola. Cioè che abbia quell'elemento fantastico, perché no, che poi è necessario all'intrattenimento e anche a suscitare, scatenare un vivo interesse, persino una passione, ma pure quello puramente scientifico.
UNA SCI-FI 'MUMBLECORE'. C'è un cinema di fantascienza, che viene definito 'indie', che si sta facendo strada e che con budget limitati o comunque lontanissimi da quelli citati, riesce forse a proporre oltre che film di buon livello, forse più argomenti di interesse e anche scientifici o comunque capace di scatenare riflessioni filosofiche e ideologiche, più di quello solito di marca hollywoodiana, spesso ridondante come detto e comunque, abbiamo parlato di 'Vice', di 'Criminal', che continua a girare in tondo su idee già trattate ma sempre con minore forza e interesse degli spettatori rispetto al passato. Questo anche giustamente. Perché del resto i gusti degli spettatori cambiano con il cambiare delle generazioni. Oggi 'Total Recall' di Paul Verhoeven, per fare un titolo tra quelli più celebri tra gli anni ottanta e gli anni novanta, appare quasi uno di quei film a basso budget che tanto sono andati di moda negli anni e fino alla metà degli anni novanta.
Parlo di quelle produzioni a basso costo che hanno reso un attore che Rutger Hauer, il mitico Roy Batty di 'Blade Runner', e di volta in volta protagonista di film che costituiscono oramai dei veri e propri cult come 'Precious Find', 'Omega Doom', 'The Blood of Heroes' e soprattutto, impossibile non menzionarlo, 'Split Second', un vero e proprio specialista del genere. E mi riferisco a questo fenomeno e in particolare a Rutger Hauer con simpatia perché costituisce un esempio più o meno recente e perché parliamo di un grande attore che si è comunque prestato più volte a interpretrare parti in film che effettivamente non avevano contenuti particolarmente significativi: hanno avuto senso solo in un determinato momento storico. E mi sono riferito a lui per non volere scavare ancora più indietro nel tempo nella storia del cinema e anche in quella del cinema italiano, che ha ampiamente trattato la materia, anche se non quanto il poliziesco e soprattutto il western.
Il movimento americano di cinema indipendente 'Mumblecore' sorto all'inizio degli anni 2000 (registi tra i più noti del genere sono i fratelli Duplass, Lyn Shelton....) è principalmente noto per la produzione di film a bassissimo budget (tavolta girati in digitale) e incentrati sostanzialmente sui rapporti interpersonali tra i protagonisti. Gli attori non sono sempre dei professionisti e poche volte sono noti al grande pubblico. To mumble in inglese, ma chi legge oppure leggeva 'Topolino' lo saprà sicuramente, significa sussurrare, ma anche rimuginare. In questo senso il movimento si propone principalmente di rimettere al centro del progetto creativo quelle che sono le 'idee' e il confronto non costituisce solo uno dei temi trattati dai film ma anche qualche cosa che fa parte proprio del processo creativo e di realizzazione stessa dell'opera.
'Primer' è uscito nel 2004, la sua produzione è costata solo 7.000,00 dollari ed è stato girato interamente a Dallas. Premiato al Sundance Film Festival come miglior film drammatico, il film non ha in seguito ottenuto un grande riscontro di critica e pubblico diventando così una specie di oggetto di culto. Non lo si può comunque considerare un film appartenente al movimento sopra citato 'Mumblecore' perché Shane Carruth non ne fa parte, ma molti elementi sono gli stessi. Parlo chiaramente di elementi di tipo ideologico e strutturale e non solo per quello che riguarda il budget e la realizzazione del film, le modalità con cui questo sia stato girato e la scelta degli interpreti (Shane Carruth è egli stesso uno dei due attori protagonisti). Soprattutto, come vedremo, l'accostamento del film a tale movimento sta in quelle che poi alla fine sono le dinamiche della storia e in particolare relativamente il rapporto tra i due protagonisti.
PRIMER. Da dove cominciare nel raccontare la trama del film? Apparentemente ci troviamo davanti a un film di quelli che alla fine della visione - in questo caso: suggerita - varrebbe forse la pena di riguardare per riuscire a cogliere quelli che sono tutti gli intrecci e sciogliere i vari nodi temporali e capire come si siano svolte esattamente le cose. Questo è comunque qualche cosa che in genere io non faccio, dico: rivedere gli stessi film e/o comunque guardarli due volte di seguito, e anche in occasione di una complessità apparente come quella della trama di 'Primer' farò a meno di rivederlo, non adesso, anche perché in fondo e senza nessuna presunzione ritengo che alla fine di questo grande tunnel (oppure, se preferite, della 'scatola') messo in piedi dal regista e attore Shane Carruth, ci sia comunque quella che potremmo definire una soluzione e che è più semplice di tutte le varie ipotesi che si potrebbero mettere sul piatto e ciascuna forse degna di una propria attendibilità e meritevole di essere discussa.
Alcuni passaggi temporali, alcuni loop forse non mi sono del tutto chiaro, secondo me alcuni sono volutamente lasciati alla libera interpretrazione dello spettatore - come è giusto che sia - ma in effetti non intendo sbatterci la testa più di troppo perché non penso che il film vada interpretrato secondo i vari intrecci temporali, ma secondo quella che è alla fine comunque una linea continua. È un film sui viaggi nel tempo, ma non solo, e come tale va guardato dall'inizio alla fine. Ma questo ritengo in ogni caso sia il giusto approccio di fronte a ogni film oppure opera che adoperi un 'intreccio' di qualsiasi tipo e questo anche perché, in fondo, se l'autore ha deciso di adoperare questa strategia ci deve essere un motivo, un qualche motivo principale tra tutti questi che egli intende sottolineare e che in quanto tale prescinde da qualsiasi logica temporale e/o tecnica narrativa.
Shane Carruth ha dichiarato di aver cercato di assimilare quanti più contenuti possibili di 'fisica' prima di girare il film e questo va a suo merito e pure per il modo in cui cerca di spiegare come i due protagonisti, i due giovani ingegneri Aaron (lo stesso Shane Carruth) e Abe (David Sullivan), riescano in una maniera quasi casuale a fare una scoperta rivoluzionaria e che consiste praticamente in una 'scatola' che permette di viaggiare indietro nel tempo. Una scoperta casuale e come sottolineato dallo stesso regista, come è successo per tante altre scoperte poi determinanti nella storia dell'umanità: una scoperta che viene fatta per caso e in quello che poi non sarebbe neppure veramente un laboratorio, ma un semplice garage attrezzato come struttura operativa dai due che per realizzare la loro invenzione adoperano praticamente materiali di riciclo tra cui le marmitte catalitiche delle loro auto e tubi di rame del frigorifero di casa.
Il concetto alla base del funzionamento del viaggio nel tempo in questo caso è meno spettacolare e pirotecnico di quelli visti in altri film che trattano l'argomento. Attivata la macchina nel tempo nel momento A, il viaggiatore vi entra in un momento successivo B e ne può uscire solo nello stesso momento A, che quindi oltre che essere il momento di accensione della macchina, costituisce anche il punto di arrivo. Con la coincidenza e l'incongruenza temporale che nel lasso di tempo tra A e B, il viaggiatore nel tempo sarà già uscito dal punto A e sia nel frattempo in attesa di entrare nel punto B.
Apparentemente, come detto, sembrerebbe tutto molto complicato, ma come spiegato poco fa, la questione è abbastanza lineare. Aggiungiamoci che Aaron e Abe trascorrono il tempo tra A e B in uno stato di completo isolamento e per evitare quelle che potrebbero essere incongruenze oppure il sorgere dei soliti temuti paradossi temporali. In ogni caso, i due non hanno ben chiaro quale utilizzo fare esattamente di questa possibilità - l'idea di base, quella solita, sarebbe quella di giocare d'anticipo in borsa oppure semplicemente di scommettere, conoscendo già come andrebbero a finire le cose - ma cominciano a usare la macchina quotidianamente, allargando nella pratica le proprie giornate a trentasei ore e svolgendo tutto sempre secondo quella che in breve appare una routine consolidata.
L'UOMO AL CENTRO DEL TEMPO. Chiaramente, altrimenti il film non avrebbe poi effettivo motivo di interesse e cioè la trama si deve comunque sviluppare in qualche modo, non tutte le cose a un certo punto cominciano a funzionare con quella regolarità che i due avevano immaginato. Non sempre si verifica esattamente quello che i due si aspettavano si verificasse e soprattutto questi cominciano ad assumere un atteggiamento differente nei confronti del viaggio del tempo con la conseguenza che sorgono quelle che inizialmente sono solo delle divergenze e poi divengono dei veri e propri scontri ideologici fino alla rottura definitiva.
La verità è che è del resto il rapporto tra i due personaggi il vero motivo principale del film. Il loro legame di amicizia e come le loro vite, sia prese singolarmente che considerate come un unicum, cambino in qualche modo radicalmente per questa esperienza anche se apparentemente nulla sembra succedere oppure essere cambiato. E questo anche agli occhi degli spettatori, che vedono succedersi i viaggi del tempo e quelle che sono le diverse 'versioni' temporali dei due protagonisti sullo schermo in una successione che comunque non è fatta da intrecci, ma secondo un ordine logico e cronologico. Ma questo invece succede tra i diversi scambi temporali e così è come se Aaron e Abe assistessero entrambi impassibili a quello che è il loro deterioramento anche fisico (Abe a un certo punto dirà di essersi arreso a vivere 36 ore al giorno) oltre che mentale. La cosa succede in una maniera che definirei quasi inerziale e questo perché tutti e due cominciano a subire quello che è il logorio del tempo, non inteso tanto come passare in avanti del tempo e quindi come qualche cosa che potremmo ricollegare all'invecchiamento del fisico oltre che della mente. Tra il punto A e il punto B, infatti, come abbiamo detto vi è sempre una versione del viaggiatore del tempo che non fa che andare avanti e indietro ed è in quanto tale costretto in un loop temporale che è improduttivo e nel quale il singolo soggetto non può in nessuna maniera crescere nel quotidiano e per quello che riguarda l'acquisizione e soprattutto la comprensione di nuove esperienze. Se aggiungiamo che i viaggiatori nel tempo in questo caso sono due, l'effetto di questo loop assume un valore potenziale, ripercuotendosi sui due soggetti in maniera negativa e non solo costituendo una mancata crescita, ma un vero e proprio regredire. Come se ritornare costantemente indietro nel tempo li riportasse sempre allo stesso posto. Ma quando tu dovresti andare avanti, perché il tempo va comunque sempre in avanti e questo è un dato di fatto incontrastabile, e invece continui a ritornare allo stesso posto allora significa che sei fermo oppure peggio, che stai ritornando indietro.
Ecco allora che quando si arresta il processo, è l'uomo e le sue dinamiche relazionali con gli altri che ritornano a essere la vera tematica giustamente dominante. Del resto, se fossimo completamente soli in questo universo, potremmo mai asserire che il tempo stia passando? Lo stesso concetto di tempo è qualche cosa che ha una sua vera ratio solo nella vita sociale e nelle interazioni con gli altri e in questo caso rappresentate dal rapporto tra Aaron e Abe e questo è qualche cosa di significativo perché vuol dire che l'uomo non subisce il tempo - certo questo passa comunque in maniera inevitabile - ma lo può dominare comunque a proprio piacimento. Gli può dare un senso e questo è tanto più compiuto se le sue azioni sono svolte in una collettività e in una società di persone. Credo fosse Pascal, ma non ne sono sicuro, sono stato un pessimo studente, a parlare dell'indicibilità dell'uomo e dela sua essenza contraddittoria, asserendo altresì che l'uomo in quanto tale oltre che la sua evoluzione abbiano un senso compiuto solo se ne consideriamo la sua esistenza fin dall'inizio. E questo ovviamente vale anche per l'uomo, per il 'singolo', voglio dire: tutti noi abbiamo una storia, che può prendere diverse strade e infinite deviazioni, ma questa per quante cose ci possano succedere, è e sarà sempre costituita da esperienze in successione cronologica tra di loro. Un continuum.
Carico i commenti... con calma