Ricordo di aver scritto un articolo per il giornale dell'università qualche tempo fa, in cui parlavo della scena hardcore e metal pugliese... Certo, chiunque può accusare un recensore di tirare acqua al proprio mulino e lodare le band della propria regione, ma la domanda a cui cercai di rispondere in quell'articolo era ben precisa: perché le band del Sud Italia spesso non vengono prese in considerazione? Perché il sud è sottovalutato anche in campo musicale? Colpa dei pregiudizi di pubblico e media, della mancanza di posti per suonare, nella difficoltà del farsi conoscere? Sinceramente non lo so. Ma una cosa posso dire: qualsiasi sia la ragione, è infondata.

Non credo sia un mistero infatti che la scena pugliese sia una vera e propria fucina di talenti e di band che ci sanno fare, che spaccano il culo, che sanno suonare e comporre musica di livelli altissimi e a volte superbi. Bari e Brindisi hanno la loro bella scena metal, con band importanti come Natron, Necrotorture e Disguise, Taranto cerca di apparire con hardcore punk, heavy metal e post rock, con The Sovran, Thanx, SFC, Hobophobic, NonPerdono, The Beirut e altri, ma se cerchiamo quella scintilla, quella furia cieca, quella smania compositiva che è capace di far allibire tante altre band della penisola, quella va cercata nel Salento. Cast Thy Eyes, Nontoccatemiranda, Sunward, Nitrojuice... Le band salentine da considerare un vanto per l'Italia sono perle che aspettano solo di essere pescate.

E chi si trova in mezzo a questo mare di sudore e post-hardcore, galleggiando sulla superficie in attesa di essere scoperto? Loro sono quattro ceffi leccesi, e il loro nome è Shank.
Non è facile accettare un disco come "Create/Devour", scoprire la provenienza geografica della band che l'ha composto e non provare un senso di speranza mista a malinconia che scorre durante l'ascolto. Figli illegittimi di Converge, Glassjaw, Botch, Cave In, Breach, Refused e altri pilastri del post-core di ogni dove e quando, il gruppo italiano picchia, distrugge, annienta, commuove e a volte rende increduli, e personalmente non posso fare a meno di pensare che l'unica cosa che manchi a una band del genere è un gran pubblico che ascolti i loro dischi. Fossero nati a Boston, forse ora aprirebbero gli show dei Converge, invece il numero dei fan è ridotto rispetto alla qualità della musica proposta, ma come si suol dire: meglio pochi ma buoni. E questo perché "Create/Devour" è una perla che non va buttata ai porci, è un disco da scoprire con gli ascolti, capace di evocare emozioni e far salire l'adrenalina, buttandosi e contorcendosi tra post hardcore e metal, melodia e attitudine punk, urla un riffing di chitarra che sfiora il math.

Quando "At War With The Self" inizia, l'impatto travolge e trasporta l'ascoltatore con sé, come se fosse un'onda impazzita che non riesce a fermarsi, spintonandolo tra un riff e l'altro come in un pogo violento, fino a schiacciarlo con un drumming forsennato e risollevarlo con melodie suggestive, che odorano leggermente di lacrime ma che non si concedono mai all'emocore come accade con tante altre band simili.
Gli Shank suonano post-hardcore nel senso più pieno del termine. Attacchi hardcore e influenza metal si uniscono con il supporto ragionato della melodia e del pathos, destreggiandosi con i tecnicismi del math rock ma senza mai scadere nel noioso o nel superfluo. Sono abili, gli Shank, a costruire trame interessanti senza mai annoiare, o scadere nella banalità del già sentito. A volte sembra che abbiano voluto unire tutte le loro innumerevoli influenze e prenderne solo i tratti migliori, che fossero quelli del riffing tecnico ma mai contorto, o della melodia evocativa ma mai smielata o esagerata, di cui possono peccare Thursday o gruppi simili. In 9 tracce, sono riusciti a costruirsi uno stile personale, e scusatemi se è poco ma non credo che questo riesca a molte band oggigiorno.

Qui tutti i brani hanno qualcosa che risalta e che spinge a pigiare ancora il tasto play per coglierne meglio le sfumature. "Create/Devour" si destreggia bene tra bordate punk e rasoiate ai confini del death metal con la melodia che domina il sottofondo, mentre "A Turn For The Worst" riprende in mano la staffetta del post-core più ispirato, peccando forse solo nella voce pulita che poteva essere più curata. "The Fallen" chiude la prima parte del disco con le sue alternanze umorali, firmando uno dei brani post-core più ispirati che potevano uscire dalla mente dei quattro. Un breve (e forse un po' inutile, se non a livello concettuale) interludio funge da raccordo con la seconda parte del disco, se possibile persino più ispirata della prima in certi punti. "Through Sour Tears" emoziona con riff che tengono sempre in tensione, tra riffing hardcore, schitarrate metal e melodie emotive che si accavallano. Qui diventa chiara una delle qualità migliori del quartetto leccese, ovvero la loro capacità di non mollare mai la presa nelle orecchie dell'ascoltatore. Non c'è nessuna tentazione alla banalità, alla ripetizione di un giro, al breakdown facile o altri futili stratagemmi. La loro musica non è altro che una cascata di riffing che sposano note di pura trepidazione e ritmi chiaroscurali. Purtroppo il modo di proporre le loro idee è ancora un po' acerbo e necessita di tempo per svilupparsi, ma una cosa è sicura, il substrato delle composizioni è maturo, ragionato, ispirato. Tutto ciò mi diventa ancora più chiaro con le canzoni successive, come "Frail", pesante e metallica, o le successive "Tragedies and pointed fingers" e "Words on sandpaper", dall'apparenza ruffiana ma trasbordanti sangue hardcore. Gli Shank non annoiano mai, non deludono mai. Quando non ti aspetti quel rallentamento metallico, quella sfuriata hardcore o quella melodia emozionante, ma la desideri nel tuo inconscio, loro ce la mettono; e tutto con un velocità impressionante, in modo che il disco scorra liscio e piacevole, travolgendo con il suo fiume in piena di idee. I tempi sono sempre in bilico tra velocità furiosa, pesantezza metallica e pause emotive, non si può mai prevedere quale riff verrà dopo e ogni brano scorre con una naturalezza che capita raramente di poter godere.
Passione che trasuda da tutti i pori, abilità tecnica non indifferente e un'ispirazione creativa come non se ne sentiva da tempo. Questi sono gli Shank, e al termine di questa mezz'ora abbondante di musica mi sento semplicemente commosso.

L'unica cosa che mi trattiene dal mettere in massimo voto a questo disco sono quei peccati veniali da correggere in futuro (voce pulita, cori) e l'acerbità compositiva che deve essere smussata per raggiungere la perfezione delle grandi band.

Per il resto, c'è da abbassarsi il cappello. Applausi.

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