Le vie del Signore sono infinite. Non esiste altro amore che l'amore di Dio. Soltanto l'amore ci può salvare, l'amore è il collegamento con la nostra anima.
Comprata la visione online parte il film, parto cinico, parto saccente, giudico, derido. Attento!, mi dice mia moglie... quanto ha ragione, arrivo coglione. La fine mi fa a pezzi, mi disintegra, misericordiosamente la regista si riprende l'assolutezza dell'unica sostanza che ci nutre, l'amore. Era dai tempi di Hana-Bi che non mi arrivava 'sta botta. Piango a dirotto per mezz'ora, il papà che accarezza con infinito sentimento la testa senza capelli della figlia: bambina mia buon viaggio lassù, hai conosciuto l'amore. Sento che vorrei cavarmi tutto da dentro, urlare a squarciagola il dolore, scomparire... A metà film facevo ancora il "tutto d'un pezzo", quello che resiste, quello che ce la fa, quello forte... Poi mi strappano come un foglio di carta e mi fanno in mille pezzetti e non mi ritrovo più.
Shannon Murphy ci muove subito a braccetto con la morte, lo sappiamo che arriverà e tutti i sentimenti si ampliano e tutto è anima. Il raggio arriva inaspettato, non può essere diversamente, l'amore è cieco, è vero, è vero... quanta luce. Vivere in funzione del nutrire l'amore, questo solo basta.
Questa culla di beatitudine sposta la nostra percezione dal guardare l'ora al fluttuare nel senza tempo e questa atmosfera di estaticità ci distrae per un po', ci illudiamo che rimarremo così per sempre. Contralti di situazioni che sdrammatizzano momenti che non sono stati drammatizzati, non c'è bisogno, non si spiega logicamente l'amore. L'aria australiana per tutto il film stimola il guardare "oltre".
E credo non a caso che i due giovani protagonisti hanno il nome che comincia per M, Milla e Moses, a richiamo della geometria sacra dove il simbolo alfabetico M corrisponde alla contrapposizione duale tra il bene e il male. E se vogliamo affiancare la simbologia delle T diciamo che è legata a due concetti, uno è quello della "misura" (To egiziano) e l'altro è quello della "vita" (Ti sumero): tutto è misura, "vita è misura". Le due T rappresentano le colonne del tempio, colonna femminile della severità, colonna maschile della dolcezza, i genitori di Milla e il dolore dell'albero genealogico. Colonne del tempio e tempo che corrispondono al potere reale e spirituale che agisce intossicando tramite il "peccato originale".
Poi le simbologie delle T e delle M sono legate alla MA TER (programmazione ternaria) del terzo pianeta del sole: TER RA. Quanto più grande la base della piramide quanto più il potere del triangolo è saldo, quanto più è lontano da noi il "macula non est in te". Il tempio-piramide è un orologio astronomico e la funzione dell'elemento ritualistico contemporaneo, che comprende l'impiego dei simboli e l'obbligo del segreto, è quella di misurare il tempo di tutti gli esseri umani, scandendo la misura del tempo imposta sul pianeta.
Il mondo fisico è basato sull'illusione, sulla temporalità, sulla durata, ma l'eternità è un livello superiore dell'essere. L'uomo si libera dall'illusione quando riesce a strappare il velo di maya (la Papessa, il secondo arcano maggiore con le colonne J & B) attraverso l'amore e la morte e ricerca l'Essere assoluto. Milla all'alba è libera e guarda dalla sua fresca condizione eterea di trapassata, con impersonale gioia, i suoi "amori" che dormono beatamente.
Non c'è melodramma, nessuno scappa, non c'è predica. La morale? È in linea nell'evitare edificanti reprimende monoteiste: "la morale è sempre quella, fai merenda con Girella", direbbe Moses. È il primo amore, il più bello, quello che non si dimentica mai, quello che ci accompagna sempre, quello che "apre i cancelli", il primo "abbaglio".
Poi arriva la "signora" e basta, senza considerazione, senza sensazionalismo, senza compatimento, senza chiamarla per nome, solo puro dolore. Arriva il distacco e io che sono padre ritorno a quell'unica preghiera che mi dico: Fa' che non sopravviva ai miei figli.
Mi viene in mente il finale dell'ultimo film dei Pirati dei Caraibi, dove il pirata Barbossa si sacrifica per salvare la figlia ritrovata che riconosce il padre un attimo prima che le acque dell'oceano si richiudano su lui e Salazar. Lo sguardo da padre beato e calmo di Hector verso Carina prima della fine, quello sguardo... E ancora il "fuoco d'artificio" di Kitano, e Ben Gazzara disperato in "Figlio mio, infinitamente caro".
E capisco perché abbiamo il cuore come muscolo involontario, perché se dovesse succedere la morte di un figlio, volontariamente come genitori lo vorremmo fermare, ma come dicevo prima i disegni divini sono imperscrutabili e continuerebbe nonostante a battere, e dobbiamo sottostare al dolore cosciente per la nostra crescita. L'illusione nel credere di stoppare tutto nell'immortalare in delle foto l'eterno che solo l'amore ci può dare, la consapevolezza dell'evanescenza di questa speranza.
Sono annientato ormai, ciondolo la testa disperato mentre singhiozzo guardando i personaggi davanti al mare, una musica di rimembranze mi dà il colpo di grazia. L'infinita tenerezza del padre, in quel sorriso che non riusciva a farlo uscire, in quella carezza che accompagna Milla sù, in quella consapevolezza che sua figlia ha vissuto perché ha conosciuto l'amore, perché ha amato. La presenza nel nutrire il sentimento della figlia tramite una devozione totale da parte della madre, la sua tremenda disperazione che dilania tutto, noi compresi, tutto. Moses che la conosce bene "quella lì", avendola sempre vicino, ma non può controllare lo smarrimento di fronte alla fine.
Sono andato ad accarezzare i miei figli che dormivano, non sono riuscito a fermare le lacrime, non volevo...
"Amo gli occhi tuoi, amica mia,
il loro gioco, splendido di fiamme,
quando li alzi all'improvviso
e, con un fulmine celeste,
guardi di luce tutt'intorno.
Ma c'è un fascino più forte:
gli occhi tuoi rivolti in basso,
negli attimi di un bacio appassionato
e, fra le ciglia semichiuse,
del desiderio il cupo e fosco fuoco.”
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