Il mondo dei cantautori è un po' un mondo a parte nel più ampio divenire dell'universo musicale. Percorrendo una dimensione parallela, fatta di semplicità e di vere emozioni, ha saputo nel corso del tempo sopravvivere a generi e mode che si sono imposti irruentemente per poi inesorabilmente tramontare. Il mondo dei cantautori, ne sono certo, continuerà ad esistere per sempre, al di là del clamore e dei botti di una musica che per imporsi ha sempre più bisogno di stupire e sempre meno bisogno di comunicare.
Una voce e una chitarra. Il paradosso di essere cantautori è il ritrovarsi a fare una musica che è la più semplice che vi sia e al tempo stesso la più profonda. Potenzialmente chiunque abbia una chitarra e sia minimamente intonato può essere un cantautore. Una via apparentemente facile, quella del cantautorato, che, rispetto ad altri genere musicali, non richiede l'acquisto di costose strumentazioni, non necessita di una sala-prove, non prevede scontri di ego e soprattutto non dà noia al vicino di casa.
Ad ogni cosa, tuttavia, il giusto contrappasso: quando si è cantautori si è soli, soli con il proprio strumento, non ci si può nascondere: a dare un senso a quei due accordi, ad animare quelle composizioni così scarne ed elementari deve esserci qualcosa. Il talento, l'ispirazione, un'urgenza comunicativa. E che si sia nel buio delle proprie stanze, in spiaggia davanti al mare, per strada a prendere appunti delle proprie emozioni e ad inseguire l'ispirazione, quando accade il miracolo, la composizione, per quanto scontata e semplice, viene a rilucere di una magia particolare che è data dall'immediatezza dei sentimenti, che scaturiscono e fluiscono senza filtri, senza mediazioni estetiche o trovate strabilianti.
"Flightsafety" (1999) è il debutto di Shannon Wright, giovane cantautrice statunitense, da più parti associata a PJ Harvey, ma in realtà ben più vicina ad un soffice ed avvolgente cantautorato in stile Lisa Germano o Cat Power. C'è anche chi la vede come una Elliott Smith al femminile. Si parla di un folk melodico ed orecchiabile, si sarò capito, tuttavia quello di Shannon Wright è un folk che ama spaziare (basti pensare all'intermezzo di flamenco in "Yard Grass"), che non resiste al fascino di Bjork (la ninna nanna infantile di "Twilight Hall"), che non teme talvolta di macchiarsi di indie, per poi adagiarsi nuovamente su atmosfere intime e spesso poppeggianti (nel senso buono del termine).
Dare 5 stelle a questo "Flightsafety", che per altro è visto da molti come il lavoro più ispirato della cantautrice, sarebbe però eccessivo, poiché significherebbe porre Shannon Wright nel gotha delle grandi cantautrici, accanto ad una Joni Mitchell o a una Tori Amos. E se Shannon Wright non ha certo la caratura per scrivere un "I See a Darkness" (il Bonnie è il Bonnie, forse il più grande cantautore dei nostri tempi!), ha tuttavia la sensibilità, il talento e l'onestà sufficienti per essere considerata con estremo interesse da parte di chi ama suoni semplici ma grondanti Vita. Musica pregna di vissuti e sensazioni intime e personali, quella di Shannon Wright, e se sopravviverà al suo tempo, questo non lo so dire, ma posso assicurare che essa costituisce una piacevole sfumatura nel variopinto mondo della musica contemporanea.
Con semplicità, sobrietà e dolcezza, la sua voce ci accarezza le orecchie, sapendo emozionare, ma senza mai tentare il ricatto emotivo con drastiche impennate di ostentato drammaticismo. Il corpus sonoro della sua musica si compone invece di una chitarra e poco più. Una chitarra che non teme armonie dissonanti e che via via viene ad impreziosirsi di un pianoforte, di un organetto, del tocco vellutato di un violoncello. La batteria, suonata dalla stessa Shannon (che si fa carico di quasi tutti gli strumenti!), è sempre fantasiosa e capace di conferire al tutto quel tocco di vivacità che, intrecciandosi con le atmosfere melanconiche che pervadono i brani, fa di questa opera un caleidoscopio di emozioni, uno spaccato di vita quotidiana ritratto con colori caldi e delicati. Con i suoi dolori e le sue gioie. E proprio dei "piccoli" dolori e delle "piccole" gioie dell'esistenza semplice di tutti i giorni ci parla Shannon, lungi miglia e miglia da velleità tragicamente esistenziali.
Cantando di sé, l'artista canta un po' di tutti noi, alle prese con la nostra schizofrenia quotidiana, fra seccature e piaceri, debolezze e momenti di riscatto, parentesi buie e guizzi di gioia ingiustificata. Una lieve malinconia pervade i brani, ma è una malinconia ricca di sfumature, spruzzata a tratti di speranza, a tratti di amarezza, che regredisce all'infanzia, e al tempo stesso rimane ben salda alla realtà, che assume toni ironici, ma anche distacco e disincanto. Quello che è importante precisare è che Shannon non ci guarda dall'alto in basso. Con umiltà e spontaneità ci regala una parte di sé. E noi siamo ben lieti di accoglierla per quello che è.
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