Tra le opere maggiormente intense, sfrontate, neuronicamente destabilizzanti e subliminalmente catartiche rappresentate nel decennio (e millennio) passato risulta, con modesta facoltà dubitativa, il quinto lungometraggio frutto dell'arduo lavoro del giovane cineasta lituano Sharunas Bartas.

Internazionalmente intitolato "Few Of Us" (curioso notare che per una volta la traslitterazione tricolorica risulti più efficace e calzante alla materia immaginifica ivi contenuta della corrispondente English-forme) cotanta stoica pellicola, risalente al 1996, venne coraggiosamente (rap)presentata in quel di Cannes nella "laterale" sezione [ove, a mio personale parere, spesso hanno trovato asilo/collocazione le opere maggiormente sfiziose della croisettistica et patinatissima cine-kermesse transalpina] denominata, vagamente irrispettosamente, "Un Certain Regard".

Integralmente girata (strettamente attenendoci a ciò chè il film-maker esigette monstrare tramite le centellinate e vivide immagini) nella naturalisticamente rigogliosa et imperviosamente maravigliuosa terra Siberiana, la pellicola si configura quale autentico, (a tratti)sfinente, (spesso)salvifico oqulo-delirio ove, in primaria (distratta)scruto-istanza, parrebbe non accadere fattivamente alcunché di significativo; una struttura filmica dominata e permeata da una immobilità quasi paradossale: inenarrabili gli infiniti piani sequenza colmi di assordanti silenzi, caratterizzati da sporadiche, apparentemente prive di costrutto, apparizioni e reiterazioni gestuali frutto delle impercettibili (dis)umanità ivi rappresentate; il tutto estroflesso e trasportato alle proprie estreme e rigeneranti (o pericolosissime) conseguenze.

Ca va sans dire: non sussiste alcuna sovrastruttura di natura tramiforme; coerentemente con questa radicale scelta stilistico-strutturale non è rappresentato (ovviamente) neppure il benché minimo accenno a qualsivoglia forma di dialogo, solamente qualche inattesa, improvvisa, inintelleggibile ma significativa emissione umano-gutturale sradica sonoramente la nostro rapita, ergo esterrefatta, palpebrale percezione.

Una sorta di estenuante, architettata ma naturale cine-primitività chè dapprima lascia (il primo quarto d'ora sembra durare una autentica eternità) inibiti et in seconda istanza completamente ammutoliti et raggelati.

Qùriosi, eh ?

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