I corvi dai bordi delle strade scrutano il mondo degli uomini e la sua inesorabile e progressiva decadenza. Sguardi distaccati di una natura maltrattata, anime senza pena alla ricerca dell’armonia perduta. Osservano l’uomo che crea e distrugge a ripetizione, in un continuum che sembra non avere fine. Una cieca e folle corsa apparentemente senza limiti, per soddisfare l’insaziabile fame di progresso.
È la voce di una natura moribonda ad emergere dalle liriche degli Shearwater, gruppo nato da una costola degli Okkervil River ed ora finalmente creatura in grado di spiegare le ali per il proprio solitario volo.Un messaggio ambientalista fino al midollo, che prosegue il discorso intrapreso con l’ottimo predecessore “Palo Santo”, da molti definito il capolavoro della band. Inutile dire che la mia personale visione è differente. Infatti penso che “Rook” sia un ulteriore passo avanti nell’evoluzione sonora degli Shearwater.
Laddove il songwriting mantiene la medesima ispirazione, è invece evidente una maggiore e quasi maniacale cura dei suoni e dei dettagli, il raggiungimento dell’equilibrio tra forme e contenuti. Per il resto non ci sono grossi stravolgimenti, la proposta musicale del gruppo è la solita miscela di folk cantautorale e rock intimistico, innescata da sporadiche sferzate elettriche. Ma al di là di ogni etichetta o genere, quello che salta immediatamente alle orecchie dell’ascoltatore è la forte carica introspettiva di questo disco, una tensione emotiva strabordante e quasi palpabile.
La voce intensa di Jonathan Meiburg, mai così sofferta e vibrante, regala momenti di grande drammaticità, districandosi con abilità nei chiaroscuri musicali e dimostrando un’eccellente padronanza del falsetto. Abbandonatevi all’irresistibile arpeggio circolare della title-track, agli intrecci di delicate percussioni ed esplosioni di archi della splendida “Home Life”. Lasciatevi travolgere dal ritmo irrequieto dell’elettrica “Century Eyes” e poi fatevi cullare dalle melodie soffuse della dolcissima “I Was a Cloud”. Sono certo poi che non resterete indifferenti alle atmosfere crepuscolari di “The Snow Leopard”, che tanto richiamano alla mente i migliori Radiohead.
“Rook” è un disco a cui non riesco a trovare un vero e proprio difetto, se non quello di sembrare troppo vicino alla perfezione. Un’opera da assaporare lentamente, chiusi in una stanza e avvolti nelle tenebre, in quelle sere in cui sentiamo che la nostra anima è l’unica possibile compagna di viaggio.
E allora spegnamo la luce. E che il viaggio abbia inizio.
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