Mi accingo a recensire un album che per me ha un significato importante, soprattutto perché uscito in un periodo (1994) in cui le majors erano troppo impegnate ad investire tempo e denaro in gruppi e gruppetti, anche banali, in piena esplosione grunge.

Testa pensante della band Steve Albini, personaggio scomodo, acuto, astioso, spiacevole a tratti ma geniale al contempo; impegnato a farsi sentire anche fuori della musica, a redarguire "la corsa ai soldi" propugnata dalle majors suddette. Gli Shellac (il nome è preso da una marca di lacca fatta con escrementi d'insetti) si presentano come una delle migliori realtà underground a stelle e striscie fra 80's e 90's: questo loro debutto è spiazzante, specialmente per chi come me all'epoca aveva ancora non chiare le idee, su come si muovesse il retroscena musicale del rock-noise alternativo statunitense.

Capolavoro assoluto: l'impeto e la furia qua non sono di certo represse, gli incastri di basso, chitarra tagliente e di batteria prendono vita da più fonti, ma si riunsicono in un compatto insieme di suoni dalle vibrazioni teutoniche. La voce (alcuni brani sono strumentali) è rabbiosa e non bada alla melodia quanto al messaggio, e questo non potevamo che aspettarcelo. Ma cosa di poco conto, visto che gli Shellac mirano a farsi sentire più con la musica che con le parole.

E allora gustatevi l'hard-rock-boogie di Dog And Pony Show, le dissonanze di Black Ass, gli sfoghi repressi a stento di In A Minute e Il Porno Star (che titolo!!!), sino ai masterpiece The Idea Of North e Pull The Cup, antesignani dello "stop and go" di molto math-rock di lí a giungere.

Quindi se mai vi siete chiesti di provare ad avvicinarli, è arrivato il momento di farlo, non preoccupatevi non puzzano (a dispetto del loro nome). Correte dal vostro negoziante di fiducia e compratelo, col tempo vi accorgerete che i soldi a volte non si spendono a casaccio.

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