Un esordio fulminante nel 2007, con quel "Sea Of The Dying Dhow" che nessuno s'aspettava e a cui nessuno rimase indifferente. La formula base era sempre quella, sul post-coreggiante-andante, canzoni lunghe e stracciamaroni, però c'era un particolare che li distingueva dal marasma disagiato del genere: la solarità.

(mi sono appena accorto della somiglianza fonetica fra "post-coreggiante" e un'altra parola che non sto a dirvi)

Controcorrente rispetto a tutti i compagni di sonorità, che ce la mettono tutta per far mostra del loro pessimismo e fastidio nei confronti della vita e del suo mal de vivre, le atmosfere degli *shels avevano un che, ma un certo che, il quale suggeriva (paradossalmente) sensazioni di ottimismo e joie de vivre.

Questo nuovo disco era pronto già nel 2008, un anno dopo l'esordio, ma per motivi che non ci è dato sapere, lo posticiparono al 2011, alla faccia dei ritardi e dei Tool.

Come lo presi saltò subito all'occhio la durata: una pentecoste e mezzo circa. O se preferite, 80 minuti. O ancora meglio, un'ora e venti maledettissimi minuti.
La buona notizia è che questo album è così figo e viaggione che non ve ne accorgerete neanche.

L'altra cosa bella è che sono pressoché incatalogabili. Se nel primo disco i chitarroni della morte avevano la meglio sul resto, qua di passaggi post-core o anche solo pesanti ce ne saranno due o tre in croce.
Post-rock? Neanche tanto, c'è qualche chitarrina dlun-dlun pulitina ogni tanto, ma di qui a definirlo post-rock...
Folk? Abbastanza anche sì, avevano annunciato una virata del genere e hanno mantenuto le promesse. Tante parti acustiche un po' ammoscianti ma tremendamente belle lo stesso.
Inoltre hanno accentuato la loro vena solare, anzi, diciamo pure che questo è un disco estivo. Di quelli da ascoltare in una sera d'estate, in qualche distesa d'erba, di fronte a un cielo stellato, con una birra e un pacchetto di sigarette a farvi compagnia.

In generale è un mattone multiforme e multicolore dalle diversa sfaccettature, e la cosa non può che farmi piacere.

Ma il particolare che vince su tutto il resto è la semplicità disarmante delle melodie. Così semplici, ma non banali, che ad ascoltarle ti chiedi "ma come ho fatto a non averci mai pensato io?" e di conseguenza ti senti un idiota.
E poi l'uso corale della voce. Quello è bellissimo e usato benissimo. Cori talvolta epici, come nella title-track, che sembra la colonna sonora de `L'ultimo dei mohicani`. Cori talvolta al limite della commozione, come in `Butterflies (On Luci's Way)`, che invece sembra di stare in chiesa durante un funerale. Ma forse questa è una mia deviazione perché stavo ascoltando questa canzone dopo il funerale di mia nonna.

E alla fine io non c'avevo neanche voglia di scrivere una recensione.

Questa infatti non è una recensione, è una cagata. Non volevo scriverci sopra e sbattermi la testa, volevo soltanto segnalarvi il disco perché lo trovo bellissimo e quei ragazzi se lo meritano. Però qualche minchiata di contorno dovevo mettercela.

Pace e amore, insomma. 

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