L'album d'esordio (hanno prodotto solo 2 Ep  "Wingsfortheirsmiles" e "Laurentian's Atoll" e sono in procinto di pubblicare la loro seconda opera completa) per i californiani *Shels (si con l'asterisco) "Sea Of The Dying Dhow" (2007 @ shelsmusic) poggia, a mio modo di vedere, le sua fondamenta su 4 capisaldi della filosofia universale.

1) Il rasoio di Ockham: se ci sono più modi per ottenere un risultato, il più semplice è quello preferibile.
2) Il principio dei contrasti: la gioia si apprezza con il dolore e viceversa. La felicità con la tristezza, il freddo con il caldo, il silenzio con il rumore.
3) "Su quello che non si può dire si deve tacere"...un invito del mio amato Wittgenstein a non sprecare parole quando è meglio mostrare quello che si vuole dire.
4) L'unione fa la forza. Ok, questo non è proprio un "caposaldo" della filosofia, ma da qualche parte sarà arrivato no?

Forse i lettori di Debaser mi prenderanno per pazzo (e forse hanno ragione) oppure per un megalomane (ehm...c'azzeccate proprio eh?!) ma a parte gli scherzi quello che scrivo si rivelerà la giusta chiave di lettura dell'album.

Gli *Shels nascono dall'unione di 3 gruppi distinti: Mahumodo, Eden Maine e Fireapple Red. Mehdi Safa, leader dei Mahumodo (gruppo metal-hardcore Inglese) si trasferisce negli States e fa nascere quello che definire "gruppo" è limitativo. 7 sono i componenti: Safa alla voce, 3 chitarre, 1 batterista, un bassista e un "masturbatore d'atmosfere".

Non amo classificare i miei gruppi preferiti, in quanto, se mi piacciono è proprio perchè esulano da una specifica categoria. Ma nell'ambito di una recensione come minimo è d'uopo definire dei limiti (nel senso di confini). Gli *Shels offrono la migliore commistione di Post-Rock e sano, diretto Metal che abbia mai ascoltato. Ok, dicendo questo, non ho detto praticamente nulla.

Prendiamo la traccia iniziale, "The Conference of The Birds", una monumentale opera rock che spiazza, incalza, acquieta gli animi con una melodia che sembra uscita dai meandri più remoti dei tuoi ricordi, come se la si conoscesse da sempre. Il tutto con una semplicità spiazzante (punto 1), contrasti continui tra chitarre acustiche, sciocchi di dita e riffoni metal degni dei migliori Tool (punto 2). Mehdi non è un rimatore, o un paroliere, ma un musicista come gli altri che mette a servizio del risultato finale la propria, evocativa, voce cantando quando si deve ("Do you remember the sun,remember the sun, that we knew, falling down...."), urlando quando si deve ("...I CAN!") e stando zitto quando deve lasciare spazio alla musica (punto 3). Quando pensi di aver capito la canzone all'improvviso giunge la calma e una tromba appare dal nulla anticipando un assolo di chitarra che sembra stampato sull'ottone, segno che i ragazzi sanno cosa fare e quando (punto 4). Questo discorso è ripetibile senza pericolo per qualsiasi altra canzone del disco che si presenta come un Concept Album (l'artwork è opera di Safa e il titolo sta ad indicare il pericolo che la "nostra" barca sta affrontando).

"White Umbrella (pt.1-2)" parte morbida, quasi spenta per accendersi nella seconda parte con un riff alla Isis o Neurosis. Scordatevi la tipica struttura "strofa-ritornello-strofa-ponte-ritornello". Anche nelle canzoni più easy come "Water pt.1" o "Indian pt.2" (forse i pezzi più vicini ad un "emocore" vecchia maniera) la canzone viaggia libera e spedita verso la meta, spingendo sui pedali e sulla potenza delle chitarre. Degne di nota sono le melodie che si intrecciano e che difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa.

La title track è forse il momento più cupo e duro dell'album, morbida e accogliente all'inizio (meraviglioso il giro di chitarra, tanto semplice quanto appagante) violenta e disturbante dopo, sputandoci addosso più di 3 minuti di riff ripetuto e martellante, anticipato da una performance della batteria veramente coinvolgente, quasi a voler ripetere il messaggio di tutto il lavoro: "stiamo affondando....ficcatevelo in testa".

L'album si chiude con la splendida "In Dead Palm Fields", che inizia con una chitarra acustica quasi Folk (il gruppo ammette che nei loro lettori mp3 girino parecchi pezzi di questo genere) procedendo con un andamento costante, mai sopra le righe, finchè Mehdi urla nel silenzio "GUIDE MY HAND! KEEP IT BY YOUR SIDE!" e la chitarra cambia, accelera e preannuncia l'esplosione finale "WILL YOU LET ME!!! LET ME GO!!". La canzone richiama nell'andazzo inequivocabilmente la traccia iniziale, chiudendo un cerchio a mio parere perfetto.

Grandi esordio per una band da amare e da seguire, ma soprattutto una dimostrazione che non c'è biosgno di complicarsi la vita studiando soluzioni iperparaboliche (mazza che neologismo) per stupire e far innamorare. Vediamo se la nave riesce a non affondare.

P.s. Questa è la mia prima recensione su Debaser....per favore non massacratemi.  Grazie Mille.

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