Il primo capitolo della serie di Resident Evil, ormai divenuta un franchise di fama globale con decine di capitoli e spin-off su svariati supporti, esce nel 1996 per la allora giovane PlayStation.
Dietro il lavoro c'è un team che diverrà anch'esso celebre negli anni, la Capcom di Shinji Mikami, che nel tempo sfornerà altri capolavori come Dino Crisis, ma il cui nome è principalmente legato alla serie in questione.
Loro è il merito di aver contribuito in maniera determinante alla nascita di un nuovo modo di intendere l'horror, da sempre un genere che fa del forte coinvolgimento dello spettatore/lettore/fruitore generico un caposaldo, riuscendo laddove l'opera penetra nella coscienza e v'insinua la paura. Questo nuovo modo si basava, appunto, su un ulteriore livello di coinvolgimento: l'interattività, strumento in grado di aumentare l'intensità dell'esperienza, se sfruttato a dovere.
Inutile dire che è questo il caso.
Resident Evil istituzionalizza il cosiddetto Survival-Horror, che vide la luce, pur in fase embrionale, non molto addietro con titoli come Alone In The Dark, divenuto anch'esso parte di una serie che, sebbene precedente nel tempo e pionieristica nell'ambito, non ne raggiungerà la notorietà né talvolta la qualità.
Lo scopo è quello di coniugare l'azione con l'horror introducendo un gameplay basato essenzialmente sull'esplorazione e sul combattimento ma con un approccio meno arcade e più realistico. Al giocatore non spetta più solo di avanzare attraverso livelli studiati linearmente per raggiungere uno scopo, egli deve esplorare un ambiente ostile letteralmente "cavandosela da solo", amministrando le risorse che esso offre e pianificando le necessarie contromisure per affrontarlo.
Già dalla sequenza introduttiva, si intuiscono le più immediate influenze: l'approccio è decisamente cinematografico e in particolare molto si deve a George Romero e alle sue pellicole sugli "zombies" (che nel videogame sono i "nemici" per antonomasia), su tutti il capolavoro "La Notte Dei Morti Viventi".
La voce narrante, che poi si saprà trattarsi di quella del protagonista Chris Redfield, introduce il filmato, che è in bianco e nero, e recitato da attori (pessimi) in carne e ossa: la STARS, squadra speciale della polizia di Raccon City, sperduta cittadina fittizia localizzata nel Midwest nella quale si ambientano le vicende, giunge sul luogo della sparizione di alcuni commilitoni, che avrebbero dovuto indagare su omicidi avvenuti nella zona e riguardanti apparentemente una misteriosa forma di cannibalismo. Tutto intorno è la natura silenziosa e desolata della foresta che circonda Raccon City. La suspense si spreca e ben presto gli ignari protagonisti si trovano a dover fronteggiare un incubo di esseri spietati divoratori di carne umana e a fuggire nella villa nei pressi, che sarà il vero e proprio setting di tutto il gioco.
Il concept si avvicina dunque molto a quello dei lavori di Romero, tanto da giungere in qualche episodio quasi al citazionismo: pochi personaggi (tutti ben caratterizzati, gli occhiali da sole del bastardissimo Albert Wesker e l'avvenenza dell'eroina Jill Valentine sono cose che ogni fan ha imparato ad amare) chiusi in una casa, apparentemente al sicuro, in realtà niente affatto, a doversi misurare contro la minaccia e se stessi per riuscire a sopravvivere.
Tuttavia, poco è rimasto dell'approccio "politico" del cineasta americano, dal quale i creatori attingono principalmente dal lato formale.
Da questo punto di vista ci si trova di fronte senz'altro a un capolavoro e a un'esperienza fantastica: il punto di forza di questo primo Resident Evil è la sinteticità, arrivando a fare di alcuni limiti dell'hardware addirittura un pregio.
Si veda a proposito la trovata delle porte apribili innescando una sequenza durante la quale il personaggio compie meccanicamente l'azione, eccellente espediente per coprire i tempi di caricamento.
Sintetici ma efficaci sono anche i dialoghi e la trama, originale e non priva di colpi di scena e sviluppi interessanti.
Il meglio sta però nell'aspetto visivo del tutto: le ambientazioni sono realizzate con splendidi sfondi pre-renderizzati, con la camera fissa tipica dei primi capitoli della saga, senz'altro poco funzionale quanto a giocabilità ma assolutamente quanto a emotività. I mostri in giro non sono moltissimi, ma sono letali e si fanno sentire, e l'esperienza di percepirne la presenza e avanzare tremanti, arma puntata e carica, fino al successivo cambio di visuale è impagabile.
Il sonoro è costituito perlopiù da pochi inquietanti motivi di sottofondo e soprattutto, vero tocco di classe, dai lamenti delle creature i quali accompagnano il protagonista attraverso le numerose stanze dell'enorme villa dove avviene il tutto. Dosato anch'esso con una sapienza davvero notevole; con pochi tratti le ambientazioni vengono rese vive anche laddove ci si trovi nell'assoluto silenzio, sperduti in una stanza dall'arredamento spoglio, un lungo corridoio con poche finestre dalle quali vedere solo il buio della notte, una lussuosa sala abbandonata alla polvere, o un umido sotterraneo brulicante di esseri abominevoli.
Una vicenda infine narrata prendendo in prestito tutte le tecniche del genere, dalla già citata suspense all'effetto sorpresa da infarto, alla frenesia dei combattimenti, il cui scopo non è più quello di andare avanti, ma quello di salvare la pelle, in quanto le munizioni sono poche e i nemici sono già morti una volta. Salvare la pelle andando avanti tra pochi incontri amichevoli con i compagni di missione, girati con poche animazioni e poche ma molto pregevoli sequenze in FMV, ricorrendo solo talvolta all'ausilio della computer grafica, numerosi e ben congeniati enigmi e rompicapo da risolvere, qualche inquietante nota scritta lasciata in giro da chissà chi che svela ogni volta un sinistro particolare.
Resident Evil gode attualmente dello status di capolavoro della storia dei videogames e notevole è stata anche l'influenza esercitata nelle più o meno immediate vicinanze cronotopologiche, tanto ne è stato e ne è il successo: tanti altri titoli ispirati, numerose pellicole (un porting è stato realizzato qualche anno dopo), addirittura qualche remake del fondamentale Romero. Un remake dal nome Resident Evil: Rebirth è stato invece realizzato nel 2002 per la consolle di nuova generazione Nintendo Game Cube, consistente in pratica di qualche ritocco e aggiunta trascurabile alla trama e un totale restyling grafico, che con i suoi virtuosismi e quasi-barocchismi, impressionanti ma sostanzialmente fini a se stessi, se non altro offre l'occasione di constatare il pregio dell'originale a prescindere dalla tecnologia impiegata.
Tutto ovviamente meritatissimo, dato che Capcom ha creato quanto di meglio possa offrire un videogame o addirittura un'opera d'arte: emozioni e, soprattutto, un'esperienza, che come tale non invecchia mai.
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