A metà degli anni '90, è successo qualcosa di importante nell'animazione giapponese. Qualcosa di talmente colossale e nevralgico che la sua influenza si sente tuttora. Sto parlando della pubblicazione di due titoli, rispettivamente un film ed una serie TV, che una volta per tutte hanno dimostrato al mondo come un prodotto animato potesse raggiungere livelli di complessità e maturità tali da far impallidire qualunque film live action spacciato per "opera seria", e di come gli anime non avessero nulla da invidiare alle blasonatissime produzioni americani. Sto parlando di "Ghost in the Shell", capolavoro cyberpunk diretto da Mamoru Oshii e tratto dall'omonimo manga di Masamune Shirow, e di "Neon Genesis Evangelion", l'opera più famosa, nonchè la più discussa, del regista-simbolo dello studio GAINAX, ovvero Hideaki Anno.

Figura piuttosto controversa quella di Anno, capace nel corso del tempo di suscitare tanto adulazione sperticata quanto totale rifiuto, ma che in ogni caso ha segnato in maniera indelebile l'animazione giapponese. La sua prima opera da regista, dopo anni di gavetta come animatore, è il celebre OAV Punta al Top! Gunbuster, che si è dimostrato, oltre che un classico della fantascienza robotica, anche un laboratorio in cui il regista ha dato una prima stesura alle sue complesse tematiche di stampo ontologico e umano. In seguito, dirigerà un altro grande classico, Nadia - Il mistero della pietra azzura, serie televisiva che ha confermato il suo grande talento nel riprendere tutti gli stilemi e gli stereotipi degli anime, per poi proiettarli in una dimensione inedita, intimista, tormentata ed incredibilmente sfacettata. Dopo Nadia, Hideaki Anno vivrà un periodo di depressione nel quale sviluppera pienamente le sue convinzioni sulla figura dell'otaku, termine che nella sua accezione più negativa indica una persona morbosamente attaccata alle sue passioni, tanto da tagliare ogni ponte con le altre persone, in uno stato di totale incapacità di vivere in un mondo che non sia il suo personale. Sempre nello stesso periodo, intraprenderà numerose letture di autori come Freud, Nietszche, Schopenauer e Pirandello, che arrichirrano enormemente il suo background culturale e ideologico.

Nel 1995, ecco la rivoluzione: Evangelion fa la sua comparsa sulla TV giapponese, inizialmente senza ottenere molto successo, per poi diventare un vero e proprio fenomeno culturale tuttora vivo (si veda il recentissimo remake cinematografico della serie, il cosiddetto Rebuild of Evangelion). Evangelion parte dove partono tutti gli anime robotici di estrazione nagaiana: la terra è minacciata da misteriose creature provenienti dallo spazio, e l'unica speranza dell'umanità è un colossale robot, pilotato dall'interno da un giovane ragazzo con numerosi problemi esistenziali. Qui però gli invasori non sono alieni, bensì angeli biblici, e la serie di mecha costruita per contrastrarli, ovvero gli Evangelion, sono in verità esseri organici creati clonando il DNA del primo e del secondo angelo, ovvero Adam e Lilith. Il protagonista è Shinji Ikari, fragile adolescende segnato da una indelebile tragedia familiare, incapace di credere nelle proprie capacità e restìo ad avere rapporti con le altre persone. Nel corso dei ventisei episodi, conditi da un affascinante retroscena religioso e cabalistico (che però, come specificato dagli stessi autori, è stato inserito solo per esigenze narrative), verrano introdotti molti altri personaggi, tutti con pesanti problemi personali che spesso sfociano nella malattia mentale, e verso la fine la trama prende una piega assolutamente drammatica ed introspettiva.

Proprio il finale ha suscitato nei fan innumerevoli polemiche: a causa dei grossi problemi di budget causati dalla succitata scarsa popolarità della prima trasmissione televisiva, lo staff GAINAX si ritrovò in grosse difficoltà riguardo la realizzazione dei due episodi conclusivi. Anche questo problema fu risolto: per la parte visiva furono utilizzati quasi esclusivamenti fotogrammi già utilizzati nel corso della serie, mentre la trama "terrena" è stata lasciata completamente da parte, optando invece per una meticolosa ricapitolazione delle brucianti problematiche dei vari personaggi, rielaborate e infine fornita di una possibile soluzione. L'ira dei fan si concentrò proprio su questo aspetto, siccome il risultato è assai criptico e non immediato e non vengono spiegati alcuni punti lasciati in sospeso nelle puntate precendenti. A detta di molti, nonchè il sottoscritto, queste due puntate rappresentano in verità l'essenza più pura di Evangelion, il cuore e l'anima di una serie che tuttora ha molto da dire e che non ha perso il suo fascino.

Ma gli otaku non avevano intenzione di demordere. Hideaki Anno riceve una valanga di lettere minatorie, a volte vere e proprie minacce di morte, in cui viene esortato a dare un finale più comprensibile alla serie. Il regista, deluso da tutte queste impressioni negative, decide allora di realizzare un film conclusivo della serie, vista ora la grande disponibilità di fondi derivati dal successo mondiale della sua creazione, in grado di fornire un finale univoco alla storia e di esplicare i punti oscuri non ripresi nei due episodi conclusivi. Per prima cosa venne distribuito Evangelion: Death and Rebirth, lungometraggio che riassumeva i principali avvenimenti della versione televisiva più la prima parte del nuovo lungometraggio. Sebbene questo "contentino" sia stato aspramente criticato da molti, possiede comunque una buona struttura narrativa, in grado di mettere in risalto i punti essenziali dell'opera. Poi, finalmente arriva nelle sale l'ultimo capitolo della saga: The End of Evangelion. Prodotto in collaborazione con la Production I.G, questo lungometraggio, diviso in due parti, sviluppa la trama degli episodi 25 e 26 della serie come sarebbero dovuti essere originariamente se ci fosse stato il budget adeguato. Le reazioni degli spettatori sono piuttosto varie, si va dal disgusto più totale alla meraviglia più enfatica. "The End of Evangelion" rappresenta, secondo il mio parere, uno dei lungometraggi più belli, emozionanti e spiazzanti che siano stati concepiti finora: uno spettacolo visivo cangiante, sperimentale, poliedrico, accompagnato da un senso di dramma, di immane cambiamento, di incertezza umana che deve confontarsi col divino assolutamente unici ed indimenticabili.

C'è comunque un particolare importante da sottolineare: buona parte della riuscita del lungometraggio va attribuito alla stupenda colonna sonora, realizzata dal grande compositore Shiroh Sagisu, che in passato aveva già realizzato le musiche di Nadia, e che in seguito verrà coinvolto anche ne "Le situazioni di Lui e Lei", "Abenobashi" e "Bleach". Già i brani utilizzati nella serie erano a dir poco portentosi, estremamente vari, in bilico tra minimalismo tensivo, arie orchestrali, martellanti inni di battaglia e commovente melodramma. Ebbene, in The End of Evangelion Sagisu riesce a superare sè stesso. Mai un anime aveva avuto un commento musicale così vivo, simbiontico, indissolubile e perfetto: un immenso mosaico in cui mischiano brani orchestrali di bachiana memoria, nenìe oniriche e carnali, esplosioni di tragedia soffocante e immagnifici inni spirituali. Questo è il trionfo dell'emozione traspositata in uno spartito, la materializzazione sonora delle paure, dei sogni, delle tragedie e delle speranze che attanagliano l'animo umano. In particolare, non posso non segnalare "Thanatos (If I can't be yours)" e "Komm", "Susser Todd", i due brani più celebri del film, nonchè probabilmente le mie canzoni preferite: la prima, un rassegnata, disperata, vibrante richiesta d'aiuto tinta di jazz tribale, la seconda un commovente, dolce e allo stesso tempo tragico addio alla vita che, pari passo con la pellicola, coinvolge l'umanità intera.

Questo CD può essere facilmente reperito a buon prezzo sul web, e consiglio assolutamente l'acquisto a chi ha adorato Evangelion, anche a chi di solito pensa che le colonne sonore non siano oggetti necessari, in quanto i brani sono già presenti nel prodotto visivo. C'è qualcosa di unico in questi solchi, qualcosa che non può essere liquidato su due piedi, degna trasposizione sinfonica di uno dei prodotti più incredibili che l'arte visiva di fine secolo ci abbia offerto, qualcosa che o si ama o si odia, ma che quando viene amato non potrà mai più uscire dai ricordi.

Shiroh, Hideaki, grazie infinite.

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