Sono sempre stato molto scettico verso le band che cambiano troppo radicalmente sonorità o addirittura generi ad ogni nuova uscita. Gli Shora provengono da Ginevra e prima di questa uscita avevano all'attivo un album di noise-core (per il sottoscritto uno dei migliori in ambito europeo) ed una interessantissima collaborazione con il "padrino" del rumore Merzbow dove le loro canzoni erano cambiate ed avevano abbandonato in parte la matrice noise-core. Ora nel 2006 hanno pubblicato questo album psichedelico ed atmosferico unito con un tocco di elettronica. Isis? Sì ma differente. Diciamo una magnifica via di mezzo tra la tensione del post-hardcore e la visione costruttiva e meno fisica del post-rock. A prima vista le tracce di Malval hanno tutte le caratteristiche del post-hardcore. È soltanto quando vi inoltrerete più profondi nel mondo artificiale di queste quattro perle che la loro forza non lineare vi si rivelerà in tutto il suo splendore.
Le canzoni degli Shora non dipendono infatti molto dai crescendo e dalle esplosioni di melodia tipiche del genere. La potenza di esse deriva molto più dal fatto che rimangono estremamente dinamiche nonostante le rotture ritmiche e le melodie quasi subliminali che stazionano nella parte posteriore del vostro cervello. "Siphrodias" ne è probabilmente l'esempio migliore: le chitarre e la sezione ritmica stanno creando un'atmosfera via via sempre più tesa e quando ci si attende che la canzone esploda nella parte più pesante arriva qualche secondo di quiete quasi assoluta. Sono particolari come questo che rendono Malval potente com'è. Musica potente ed allo stesso tempo interamente strumentale con una gamma (o magma per usare un anagramma) di colori sonici adeguatamente larga con l'uso sia degli strumenti tradizionali che dell'elettronica. Le linee doppie delle chitarre vengono recepite strettamente intrecciate ed in continuo spostamento mantenendo l'ascoltatore in una condizione ipnotica. Il basso è fluido e pieno e le tastiere sono usate con parsimonia ed aggiungono uno splendore etereo mentre il drumming colpisce per l'equilibrio che ha fra ripetizione ritmica e modelli più complessi. Il risultato finale è scuro e denso e richiede diversi ascolti per entrare in completa sintonia con questo incredibile disco.
Malval dura solo 33 minuti (sfido chiunque a quantificare questo tempo durante l'ascolto) che rappresentano un unico viaggio diviso in quattro parti. "Parhelion" apre il trip con un'introduzione via via sempre più tesa e sfocia nel post-rock più incredibile che io abbia mai sentito (in alcuni tratti mi ricorda gli Explosions in the sky). "Arch & hum" calma un po' il tempo dissimulando un ritmo più freddo, più meccanico con le chitarre che si rincorrono in modo perfetto ed una batteria implacabile. "Siphrodias" è una vera e propria cavalcata dove le chitarre provocano la sezione ritmica con un tempo folle e ripetitivo. "Klarheit" è uno stupendo pezzo psichedelico che fa perdere le nozioni di tempo e di spazio e fa pensare ad un incrocio tra i Pink Floyd di "A saucerful of secrets" ed i Tangerine Dream di "Alpha Centauri", provare per credere. Poi alla fine una sorpresa: l'arrivo di un coro femminile che annuncia con grazia la fine di questa opera (così si deve definire!). Voglio concludere consigliando l'ascolto ad amici, nemici, sconosciuti, bambini... insomma a tutti ma proprio a tutti perché cazzo la bellezza stordente (mai aggettivo fu più consono) di questo album è ai limiti dell'oggettività!
Wittgenstein diceva: "il linguaggio è un labirinto di strade, vieni da una parte e ti sai orientare, giungi allo stesso punto da un'altra parte e non ti raccapezzi più...". Ecco nelle parole di un filosofo il fascino senza tempo di Malval.
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