Shub-Nigurrath è un nome che tutti i fans di Lovecraft conoscono molto bene. Infatti è una figura che ha un ruolo importante all'interno della mitologia creata dallo scrittore di Providence, è l'informe dea della fertilità che appare agli uomini e copula con loro sotto forma di un nero caprone, è la Grande Madre moglie e genitrice dell'onnipotente Yog Sothoth, "colui che non deve essere nominato".

"Les Morts Vont Vite" invece è un verso della "Ballade de Lenore", una romanza scritta dal tedesco Burger in pieno Sturm und Drang che racconta la triste storia di una fanciulla, Lenore, disperata perchè il suo fidanzato Wilhelm non è ancora tornato dalla guerra, che riceve nella notte la visita inaspettata di un cavaliere in armatura. L'uomo a cavallo le dice di essere il suo promesso sposo e la porta via con se'. I due cavalcano al galoppo attraverso desolate brughiere finchè non giungono ad un vecchio cimitero abbandonato, dove si consuma la tragedia. Lenore, colta da sospetto, alza la visiera dell'elmo del soldato e vede il viso scarnificato di uno spettro. Il suo cuore non resiste allo spavento indicibile e si ferma, mentre il cavaliere fantasma e il suo nero destriero scompaiono nella notte.

La ballata di Burger è il tipico drammone gotico in cui si fondono Eros e Thanatos, ma stavolta è la morte che si fa beffe dell'amore e, portandosi via Lenore, si prende la sua rivincita sulla vita.

Da queste premesse si intuisce già che la proposta musicale di questo gruppo francese in questo loro loro secondo album (1986)  sarà probabilmente caratterizzata da sonorità poco rassicuranti.

E' proprio così infatti, la musica dei Shub-Nigurrath è lugubre e oscura fino al midollo, i loro brani sono costituiti da litanie sepolcrali lente e pesanti che improvvisamente si trasformano in cavalcate sonore infernali in cui tutti gli strumenti si alternano e si intersecano. Basso e batteria cupi e ossessivi dettano il ritmo, grevi e funerei accordi di pianoforte e organo da chiesa diventano manciate di note aspre e isteriche, il trombone disegna arabeschi stranianti che si fondono con i rumorismi di una chitarra perversa e distorta .

Su tutto domina la voce da invasata del soprano Ann Stewart che canta come se fosse la sacerdotessa in trance di un dio blasfemo e crudele.

Non c'è traccia di melodia, non c'è un barlume di luce o una stilla di vita, l'intera opera, pervasa da un senso di angoscia e di oppressione, è una tetra celebrazione del trionfo della morte.

Ovviamente un album particolare come questo non può essere accessibile a tutti. Probabilmente piacerà agli amanti della musica classica contemporanea e di gruppi progressive d'avanguardia come Magma, Univers Zero e gli Amon Duul di "Phallus Dei", oppure ai seguaci della Grande Piovra mentre recitano gli innominabili versetti del Necronomicon durante una notte di luna piena.

I Shub-Niggurath dopo "Les Morts Vont Vite" realizzeranno ancora una manciata di album (l'ultimo è "Testament" del 2003) e poi spariranno nel nulla. Probabilmente oggi conducono tutti una vita normale lontano dai riflettori o forse sono schiavi della Grande Madre che, per premiarli della loro devozione, li ha voluti con sè nel suo santuario sotterraneo sotto la Città dei Pilastri.

E lì, assieme ad un virtuoso del violino, un certo Erich Zann, suonano e cantano per lei e il suo sposo giorno e notte, sorvegliati per l'eternità dai suoi mille cuccioli.

Yog Sothoth! Yog Sothoth! Yog Sothoth! (dal brano "Yog Sothoth)

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