Maggio 2006. Vedevo come quasi ogni anno l'Eurovision Song Contest. Quell'anno, data la vittoria della Grecia nell'anno precedente, si svolgeva ad Atene. Alcune canzoni erano carine, altre decisamente brutte, altre ancora mi piacquero molto.
Tra le varie nazioni in gara aspettavo di sentire l'esibizione dei Paesi per i quali provo un'innata simpatia: Polonia, Israele e Turchia. L'esibizione israeliana era decisamente mediocre: un ragazzone di colore cantava un ghospel molto 'volemose bene'. Bei cori ma canzone inconsistente. I rappresentanti polacchi? eviterei di commentarli. Trash allo stato puro. Arrivò poi, verso la fine dello show, il momento della rappresentante turca.
Si chiamava Sibel Tüzün. Non sapevo niente di lei: nemmeno che faccia avesse. Mi ritrovai a guardare questo metro e ottanta di biondona, coperta (si fa per dire) di un ridottissimo abitino tutto lustrini e paillettes dominare il palco. «Alla faccia della musulmana tutta casa, Moschea e velo!» pensai divertito, immaginando la faccia che avrebbe fatto l'onorevole Santanché con le sue battaglie anti-velo. Mi colpì favorevolmente anche la scelta della Tüzün di cantare nella sua (a mio parere bellissima) lingua, a dispetto di una manifestazione in cui ormai quasi tutti gli artisti si piegano allo strapotere dell'inglese. Il pezzo è una sorta di ibrido tra la discodance anni Settanta e i sinuosi ritmi turchi e mediorientali. Si intitola «Süper Star», e mi colpì piacevolmente il fatto che la base era composta da strumenti 'veri'. Nessuna campionatura, nessun effetto particolare: solo batterie,violini, chitarre eccetera. Non si classificò tra le 'big 10' (che avrebbero garantito la finale alla Turchia nell'anno successivo) per una manciata di punti. Incuriosito cercai materiale riguardante la cantante in giro per la rete. Venni a sapere che Sibel Tüzün è una delle massime rappresentanti del rock-pop turco, che è laureata al conservatorio di Istanbul e tante altre notizie che ben mi facevano sperare sulla qualità dei suoi lavori, finché mi imbattei in un suo album del 1998, dal titolo «Hayat Buysa Ben Yokun Bu Yolda», ossia «Se Questa È Vita, Io Non Ci Sto». Ascoltai il disco. Fu in parte una conferma di quel che 'sospettavo', in parte una piacevole sorpresa.
L'album si presenta bene. È una sorta di rock-grunge pieno di grinta. La voce calda e sensuale della Tüzün ben si sposa con le basi aggressive. La track-list si apre proprio con "Hayat Buysa Ben Yokun Bu Yolda", dai ritmi decisi ma dal cantato malinconico nel quale la Tüzün denuncia diverse brutture del mondo e soprattutto del suo Paese (tensioni con Curdi e Armeni, diritti umani scarsamente rispettati eccetera). È un pezzo vagamente grunge, con cori maschili che fanno da sottofondo ai vocalizzi della cantante. Grintose anche le rockettare Cannetin Çocuklari, Gidiyorum, Oyun. Ciò che più spicca in questo album, almeno per un ascoltatore Occidentale, sono i vari omaggi che la Tüzün offre a gruppi sicuramente più conosciuti di lei nel mondo. Oltre alla citazione a «Jump», dei Van Hallen in «Sen», abbiamo un omaggio anche ai re del grunge per eccellenza. In «Degisim», infatti Sibel omaggia i Nirvana e la loro «Smells Like Teen Spirit» in maniera simpatica e azzeccata.
Un album ben fatto, divertente, cantato bene con belle canzoni e sicuramente ben confezionato. Invoglia proprio a sentire gli altri lavori di Sibel Tüzün, che si dimostra un?ottima interprete e autrice di canzoni tutt'altro che banali.
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