E' risaputo che ogni decennio ha le sue correnti musicali predominanti che catalizzano l'attenzione di critica e pubblico. Se gli 80's erano stati la golden age del thrash metal e dell'hardcore punk da una parte e di certa new-wave e l'hair metal dall'altra, i '90's sembrano fare piazza pulita in un sol boccone di questi generi.

Ed è così che ad inizio del nuovo decennio, arrivano sempre dall'America la nuova scuola grunge from Seattle e il revival punk di Green Day, Offspring, Rancid e compagnia cantante dalla California e villette limitrofe. Il thrash sparisce, non a caso molte di queste band fanno flop di vendite, altre invece cambiano stile per adattarsi alle richieste del mercato, sta di fatto che è un periodo nero per il genere. Lo stesso si può dire dell'hardcore punk puro ove i maggiori fondatori di questa corrente, si erano sciolti a metà/sul finire degli anni ottanta e si era già andati a marcare nuove soluzioni fuori dai confini finora tracciati.

Focalizzando la lente di ingradimento sul 1994, si può dire che è stato un anno ricchissimo di uscite discografiche, spesso non da poco, e specialmente nel settore del punk rock (ma non solo) decisamente importanti.

"Dookie", "Punk In Drublic", "Smash", "Let's go" e la lista potrebbe continuare, questi sono solo i più noti. Ma anche allagardo gli orrizzonti c'erano i vari "Blue Album" (Weezer), "Grace" (Jeff Buckley) e i Soundgarden. Ma non c'era solo questo, anzi, per un motivo o per un altro, spesso ci sono zone d 'ombra verso certe realtà, che non ricevono la giusta importanza, relazionate anche al proprio peso specifico. Si parla dei mitici Sick Of It All. A differenza dell' hc melodico e del pop/punk rock, che cominciavano a riscuotere consensi e pubblico con le sue strutture fatate di velocità/melodia, si parla sempre di US in primis, i SOIA, non avevano propria nulla da spartire con quest'ultimi.

Dopo due dischi, sempre nel '94 vede la luce il disco della consacrazione mondiale "Scratch The Surface" un vero pilastro in tutti i sensi. Lou Koller e soci, nonostante avrebbero potuto allinearsi a tutto il carrozzone del melodic-core e alleggerire il loro sound per ottenere maggiore visibilità, continuarono portando avanti il loro credo, ovvero quella dell'hardcore puro di matrice newyorchese che loro stessi hanno creato e sviluppato insieme a band quali Agnostic Front e Madball.

Il disco è composta da 14 brani tiratissimi, senza cali di tensione o fermate di alcun sorta, dominati dalle urla animalesce di Lou Koller (tipica voce hc grezza, né growl o screaming quindi), dai riff taglienti come una lama del rasoio del fratello Pete, dal basso iper-distorto di Craig Setari e dalla battera con doppia cassa di Armand Majidi.

L'album fu una critica violenta contro chi, major in primis, voleva costringere la band a spostarsi su lidi più commerciali e melodici. Il disco si presenta infatti come un macigno compatto, ben costruito dalle fondamenta e in antitesi totale con i trend dell'epoca. Difficile scegliere gli episodi migliori, perchè se amate il genere, basterà mettere su il disco nello stereo, per rimanere fin da subito folgorati da questo condensato di furore e energia pura.

Si alza il sipario con l'ottima e spedita "No Cure" (con un'eccitante coda strumentale), che insieme alla successiva "Insurrection" una vera e propria mazzata sui denti e la brutale e dal riff quasi thrash "Goatless" solo 80 secondi, costituiscono un trittico di tutto rispetto. Nel mezzo troviamo i notevoli cambi di ritmo e sempre ispirate parti di basso, veri trademark del gruppo di "Consume" e sopratutto "Who sets the rules" con un finale a dir poco infernale.

Avanti il prossimo. E che prossimo. Arriva lei "Step Down" aperta da degli inediti coretti in pieno stile oi!, si rivela un grandissimo anthem e si eleva cavallo di battaglia del gruppo, con un refrain, che ti viene voglia di urlare a squarciagola in coro. Una delle loro canzoni più conosciute. "Maladjusted" rallenta la struttura, ma non perde in potenza, anzi, qui Koller sembra letteralmente strapparsi le corde vocali, dove a dominare sono i sublimi giri di basso di Setari. Aperta da una serie di rullate continue "Scratch The Surface" onora e adempie al suo compito in maniera egregia, così bella, che risulta difficile descriverla.

Niente da fare: "Free Spirit", "Force My Hand", "Desperate Fool", "Farm Team" e infine la chisura con la sublime "Cease Fire" sono tutti pezzi maledettamente passionali e veraci nella loro virile dirompenza. Tra questi merita una menzione quest'ultima, con una splendida intro strumentale abbastanza lunga, in cui fa capolino all'inizio un basso e una chitarra vagamente pulite, elementi abbastanze rari in questo disco, ma quando sembra che il pezzo conceda una tregua dopo tanto frastuono, il silenzio viene spezzato in un attimo e il malcapitato ascoltatore viene subito travolto dall'onda d'urto.

Ci tengo a sottolineare, che, nonostante il genere non conceda molto all'innovazione e alla varietà stilistica, qui il songwriting è ad altissimi livelli. Sebbene tra le sue membra non si trovano le vocals e i ritornellini melodici dei vari NOFX e Lagwon, i ragazzi riescono a non risultare mai noiosi. Trovo in questo senso azzeccata, la scelta di includere non più di 14 pezzi, per una durata complessiva di poco sotto la mezz'ora. Per dirla tutta dovrebbero prendere spunto da questa "strategia" i Rancid, che con le loro 22/23 canzoni per disco, rendono i loro dischi volentieri molto pesanti.

Meravigliosa l'atmosfera che circonda il disco. Un'atmosfera malsana, inquieta, lugubre, profonda, che si fonde anche con i messaggi delle liriche di stampo sociale e di ugualianza che i SOIA ci vogliono trasmettere con i loro pezzi. Sublime, infine l'artwork della facciata principale del platter. Tra l'altro, molti dei gruppi attuali, hardcore e metal, dichiarano la notevole influenza ricevuta dai Sick Of It All, che vengono citati tra le loro influenze, come nel caso ad esempio degli Hatebreed. Discorso analogo che nel melodic hardcore vale per i Bad Religion.

Due parole in più, le merita certamente pure la maiuscola prestazione dietro il microfono di mister Lou Koller, senza dubbio uno dei migliori e più carismatici cantanti in ambito hardcore, che irradia carica positiva e coinvolge da subito l'ascoltatore, portandolo ad un headbanging sfrenato.

"Scratch The Surface" rientra nel novero delle migliori uscite del settore, nonché manifesto del genere, che loro stessi hanno portato alla ribalta e uno tra i dischi fondamentali dei '90's senza distinzione di etichette e categorie musicali. Lode ai SOIA.

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