Tutta la potenza dell'analogico.
Root Jam è il tributo che si sono fatti per i loro dieci anni on the road ed un regalo prezioso per chi ha orecchie affinate dal tempo e temprate dal classic rock in tutte le sue declinazioni.
Imbracciando strumenti custom shop e dando una spolverata ai loro ampli boutique gli svedesi danno vita finalmente ad un album live che vale tutti soldi fino all'ultimo cents. Dopo un intro in salsa Morricone la chiave di accesso a questo doppio live nella loro Stoccolma è l'inedito rock/blues "The Rat" dove vanno a braccetto un riffone valvolare e il cantato masculino di Sanya. Infatti qui ritroviamo in veste di ospiti tutti i cantanti e i musicisti che hanno dato un contributo nei lavori in studio o semplicemente come amici durante la loro breve carriera quasi a voler ribadire il carattere celebrativo di questa uscita discografica. Quindi oltre alla formazione stabile: K.G. West/Love/Sam Riffer troviamo una manciata di cantanti tra cui spicca senz'altro Oskar Undstrom in "Into The Woods" e nella epica "Words" 12 minuti di cavalcate elettriche a cui si aggiunge l'ospitata alla seconda chitarra di Maxi Dread.
Gli svedesi pescano random dal loro repertorio (i quattro full-lenght più l'inedito iniziale) concedendosi spesso stravolgimenti in corsa, aumentandone il minutaggio o trasfigurandone i contenuti e "Trippin" ne è l'esempio. (brano elettrico in studio, qui completamente riarrangiato in chiave acustica e se mi concedete dal sapore tardo sixtees). Sparsi un po' qua e la, ma sono la vera e propria spina dorsale del disco, il flauto di Anna Sandberg già saggiato nell'orientaleggiante "Different Realities"(2009) e un lotto di strumenti indiani e arabi: sitar, piccole percussioni, duff, derbuka, raag jog e l'hurdy gurdy ( la nostra ghironda) che avevo sentito sinora solo in versione medieval-arabeggiante. A questo dispiego di forze sommate un Hammond suonato in tandem e la chitarra retrò di KG West a profusione. Il risultato finale è il giusto equilibrio tra il clima rilassato di un Taj Mahal e l'energia vibrante di un palchetto messo a ferro e fuoco, rendendo questo live più di una semplice distilleria di watt. Chiusura con il duo "Rasayana" e l'orgia sonica di "Reverberations" per ulteriori sedici minuti di jam. (tanti adolescenti di oggi non apprezzeranno, ma questo è un altro discorso).
In tutto 90 minuti di musica totale presa in prestito dai migliori anni settanta che vi catapulta con la mente su quel palco di Stoccolma ma con i piedi a bagno nel Gange.
E per chi pensa che suonare "antico" sia solo una fuga dalla realtà, beh questo "Root Jam" è un gran bell'esercizio al termine del quale vi lascerà addosso tutto il sudore di un coast to coast fatto con il sole a picco.
Potrebbero chiamarsi anche The Atomic-Wishbone-Purple-Heep tanta è la carne al fuoco, ma risulterebbe riduttivo.
Il parere del commendatore Bossolazzi:
L'esperienza definitiva sarebbe farvi il doppio LP versione 180 g per dare un senso al concetto di deep-bass di Sam Riffer. Solo dopo potete convenire con me che 5 nespole sono un obbligo.
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